“Non è bene che l’uomo sia solo (Gen 2,18). Curare il malato curando le relazioni.” E’ questo il tema della 32ª Giornata Mondiale del Malato, che si celebra l’11 febbraio. Nel suo Messaggio il Papa, rifacendosi agli inizi della Creazione coglie “il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento.”
E’ l’invito a superare l’isolamento che “ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita”. Quanti sono stati terribilmente soli, durante la pandemia da Covid-19, quanti, a causa della guerra, si trovano senza sostegno e senza assistenza: “la guerra è la più terribile delle malattie sociali e le persone più fragili ne pagano il prezzo più alto.” Non bisogno dimenticare come nel nostro mondo più sviluppato, “il tempo dell’anzianità e della malattia” sia “spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono.” E’ quella cultura dello scarto, in cui “le persone – scriveva Francesco nella Fratelli tutti al n. 18 – non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se ‘non servono ancora’, come i nascituri, o ‘non servono più’, come gli anziani”.
Per questo il Papa richiama il modello del Buon Samaritano (Lc 10, 25-37) con la “sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre” e ricorda che “la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso”. Significa “adottare lo sguardo compassionevole di Gesù”, prendendosi “cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.” Non bisogna dimenticare che “i malati, i fragili, i poveri sono al centro della Chiesa e devono essere anche al centro della nostra attenzione umana e della nostra sollecitudine pastorale”. Di qui l’invito a Maria Santissima, Salute degli Infermi, “perché interceda per noi e ci aiuti a essere artigiani della vicinanza e della relazione fraterna”.