“Pilato gli disse: ‘Dunque tu sei re?’. Rispose Gesù: ‘Tu lo dici: io sono re’.”(Gv. 18, 37)
Per la solennità di Cristo Re dell’universo, propongo come commento al Vangelo giovanneo nel dialogo tra Gesù e Pilato, l’opera del Tintoretto conservata alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia. Siamo di fronte al loggiato del Pretorio di Gerusalemme: il Figlio di Dio e Pilato sono faccia a faccia, su quello che sembra un trono, rialzato rispetto alla folla che assiste alla scena. I colori sono scuri e la luce non è molta, e la figura che risalta è quella di Gesù.
In piedi di fronte a Pilato, con mani e piedi legati, Cristo indossa una veste bianca per volere di Erode (presso cui era comparso precedentemente): alcuni dicono fosse destinata ai folli, e che Erode intendesse prendersi gioco di Lui; altri dicono che la veste bianca sia simbolo di purezza. Egli ascolta le parole del procuratore romano in atteggiamento di dolorosa e muta rassegnazione.
Intanto, un servo versa dell’acqua sulle mani di Pilato perché se le possa lavare, e lui, intento in quest’atto, seduto su un alto piedistallo a destra, distoglie lo sguardo dalla sagoma di Gesù, ma non tanto a causa dell’impegno in quest’azione, ma per non volere più vedere ed intervenire.
Tintoretto sottolinea la confusione in Pilato che non capisce i misteri di Dio e della fede, ritraendolo con il capo volto rispetto alla figura di Cristo, e raffigurando in basso, accanto al trono, un vecchio che finge di scrivere ciò che accade, senza però toccare la pergamena con la penna.
Riconosciamo allora la partecipazione alla regale missione di Gesù, riscoprendo “in sé e negli altri quella particole dignità della nostra vocazione che si può definire regalità” (GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 1979, n. 18).
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