All’udienza generale (nel Cortile di San Damaso) mercoledì 26 maggio Francesco ha parlato della “contestazione radicale” di chi prega senza vedersi all’apparenza esaudito. Seguendo la traccia del Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2734), il Papa ha affrontato “una contestazione radicale alla preghiera”, che deriva da una osservazione comune: “noi preghiamo, domandiamo, eppure a volte le nostre preghiere sembrano rimanere inascoltate”. E’ un’esperienza comune, quella di una preghiera, anche per nobili motivi, che non viene esaudita. “Ma se Dio è Padre, perché non ci ascolta? Lui che ha assicurato di dare cose buone ai figli che gliele chiedono (cfr Mt 7,10), perché non risponde alle nostre richieste?” Francesco indica l’insegnamento del “Padre nostro”, dove si chiede “che si realizzi non il nostro progetto, ma la sua volontà nei confronti del mondo”. Nelle preghiere a Gesù e al Padre descritte nei Vangeli, a volte la risposta ad un dramma personale “non è immediata”, ma “differita nel tempo”. Il Catechismo (cfr. n. 2735) “ci mette in guardia dal rischio di non vivere un’autentica esperienza di fede, ma di trasformare la relazione con Dio in qualcosa di magico”, perché “la preghiera non è una bacchetta magica: è un dialogo con il Signore. In effetti, quando preghiamo possiamo cadere nel rischio di non essere noi a servire Dio, ma di pretendere che sia Lui a servire noi. Ecco allora una preghiera che sempre reclama, che vuole indirizzare gli avvenimenti secondo il nostro disegno, che non ammette altri progetti se non i nostri desideri”. E’ l’insegnamento del “Padre nostro”, dove si chiede “che si realizzi non il nostro progetto, ma la sua volontà nei confronti del mondo”.
Meglio lasciar fare a Lui ! Per questo diciamo: “sia fatta la tua volontà”. Paolo, inoltre, nella Lettera ai Romani, “ci ricorda che noi non sappiamo nemmeno cosa sia conveniente domandare”. Noi “domandiamo per le nostre necessità, i nostri bisogni, le cose che noi vogliamo”, mentre l’umiltà “è il primo atteggiamento per andare a pregare”. Prima della preghiera, prepariamoci a chiedere “che Dio mi dia quello che conviene di più: Lui sa”. Se siamo umili, le nostre sono “effettivamente delle preghiere e non un vaniloquio”, sapendo che si può “pregare per motivi sbagliati”, come “per sconfiggere il nemico in guerra…”
Ora “nella preghiera, è Dio che deve convertire noi, non siamo noi che dobbiamo convertire Dio”. Poi, “a volte la risposta di Gesù è immediata, invece in qualche altro caso essa è differita nel tempo”. Come la donna cananea “che supplica Gesù per la figlia”, insistendo “a lungo per essere esaudita”, ma andando avanti con coraggio nella preghiera. Come il paralitico portato dai suoi quattro amici. E questo accade anche nella vita di ognuno di noi. “quante volte abbiamo chiesto una grazia, un miracolo, diciamolo così, e non è accaduto nulla. Poi, con il tempo, le cose si sono sistemate ma secondo il modo di Dio, il modo divino, non secondo quello che noi volevamo in quel momento. Il tempo di Dio non è il nostro tempo.” Esemplare è la guarigione della figlia di Giairo, a cui “Gesù dice: ‘non temere, soltanto abbi fede!’ (…) Continua ad avere fede”, dove la fede sostiene la preghiera. Occorre “chiedere questa grazia, di avere fede. Gesù, nel Vangelo, dice che la fede sposta le montagne. Ma, avere la fede sul serio. Gesù, davanti alla fede dei suoi poveri, dei suoi uomini, cade vinto, sente una tenerezza speciale, davanti a quella fede. E ascolta.”
Anche “la preghiera che Gesù rivolge al Padre nel Getsemani sembra rimanere inascoltata”, perché il Figlio “dovrà bere fino in fondo il calice della passione. Ma il Sabato Santo non è il capitolo finale, perché il terzo giorno c’è la risurrezione: il Male è signore del penultimo giorno, mai dell’ultimo. (…) Dio è il Signore dell’ultimo giorno”, che “è il giorno in cui si compiranno tutti gli aneliti umani di salvezza”. Di qui l’invito ad imparare “questa pazienza umile di aspettare la grazia del Signore, aspettare l’ultimo giorno. Tante volte, il penultimo è molto brutto, perché le sofferenze umane sono brutte. Ma il Signore c’è. E l’ultimo (giorno) Lui risolve tutto.”
Domenica 30 maggio, all’Angelus il Papa (nella solennità liturgica) ha parlato del mistero di comunione che è la S.S. Trinità. Infatti “il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito è Dio. Ma non sono tre dei: è un solo Dio e tre Persone. È un mistero che ci ha rivelato Gesù Cristo: la Santa Trinità. Oggi ci fermiamo a celebrare questo mistero, perché le Persone non sono aggettivazione di Dio”, ma “persone, reali, diverse, differenti; non sono – come diceva quel filosofo – emanazioni di Dio. (…) C’è il Padre, che io prego con il Padre Nostro; c’è il Figlio, che mi ha dato la redenzione, la giustificazione; c’è lo Spirito Santo, che abita in noi e abita la Chiesa. (…) . Dio è amore. Il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito Santo è amore. “
Per questo Dio non è solitudine, “ma comunione fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’amore, infatti, è essenzialmente dono di sé” e scaturisce da quella originaria comunione trinitaria. “Non è facile da capire, ma si può vivere questo mistero.”. E’ Gesù che ci svela la Trinità facendoci conoscere il Padre; sé stesso, vero uomo, Figlio e Parola di Dio; lo Spirito Santo, nostro Consolatore e Avvocato. Un “mistero di amore e di luce,” che orienta il nostro cammino, da cui non si può prescindere in ogni forma della missione cristiana. Infatti quando il Risorto appare agli Apostoli li invia “ad evangelizzare «tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).” Così “la bellezza del Vangelo richiede di essere vissuta (…) e testimoniata nella concordia tra noi, che siamo così diversi!” E’ un’unità “essenziale al cristiano: non è un atteggiamento, un modo di dire, (…) perché è l’unità che nasce dall’amore, dalla misericordia di Dio, dalla giustificazione di Gesù Cristo e dalla presenza dello Spirito Santo nei nostri cuori.”
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