All’Udienza generale mercoledì 1 ottobre il Papa ha continuato la catechesi sulla preghiera, parlando del Libro dei Salmi, “composto di sole preghiere”, il libro che insegna “il saper pregare”. Infatti “nei salmi troviamo tutti i sentimenti umani: le gioie, i dolori, i dubbi, le speranze, le amarezze che colorano la nostra vita. Il Catechismo afferma che ogni salmo ‘è di una sobrietà tale da poter essere pregato in verità dagli uomini di ogni condizione e di ogni tempo’. Leggendo e rileggendo i salmi, noi impariamo il linguaggio della preghiera.” Qui troviamo le parole per esprimere i nostri sentimenti, per lodare, ringraziare, invocare Dio nella gioia e nella sofferenza: non troviamo persone astratte, ma che attingono all’esperienza vissuta. “Per pregarli basta essere quello che siamo.” Occorre non dimenticare che “per pregare bene, dobbiamo pregare come siamo, non truccati. Non truccare l’anima per pregare.” Tra le tante domande contenute nelle preghiere, una suona “come un grido incessante”: fino a quando? “Fino a quando, Signore, dovrò soffrire questo? Ascoltami, Signore!” Quante volte noi abbiamo pregato così, con “Fino a quando? Smettila, Signore … Fino a quando?”.
Ma il credente sa che verso Dio ha senso gridare. “E questo è importante. Quando noi andiamo a pregare, andiamo perché sappiamo di essere preziosi agli occhi di Dio, e per questo vado a pregare. (…) E’ la grazia dello Spirito Santo dentro che ti spinge ad andare a questa saggezza: che tu sei prezioso agli occhi di Dio. E per questo vai a pregare.” Il grido del credente dice in tutta la sua drammaticità malattie, odio, guerra, persecuzione, sfiducia, morte. Chi recita i Salmi chiede a Dio di intervenire dove tutti gli sforzi umani sono inutili. Sa di essere prezioso agli occhi di Dio. E la preghiera è già inizio di salvezza. “Tutti soffrono in questo mondo: sia che si creda in Dio, sia che lo si respinga. Ma nel Salterio il dolore diventa relazione, rapporto: grido di aiuto che attende di intercettare un orecchio che ascolti. Non può rimanere senza senso, senza scopo. Anche i dolori che subiamo non possono essere solo casi specifici di una legge universale: sono sempre le “mie” lacrime, che nessuno ha mai versato prima di me”. Ora “quando noi vogliamo consolare qualcuno, non troviamo le parole.” E’ il suo dolore, sono le sue lacrime. Così per noi: è il mio dolore, sono le mie lacrime: “con questo dolore mi rivolgo al Signore”, perché davanti a Lui “non siamo degli sconosciuti, o dei numeri. Siamo volti e cuori, conosciuti ad uno ad uno, per nome”. Il credente sa che la porta di Dio è sempre aperta, che in lui c’è salvezza. Chi prega non si illude, sa che non sempre i problemi della vita si risolvono, ma è certo di essere ascoltato e allora tutto diventa più sopportabile. “La cosa peggiore che può capitare è soffrire nell’abbandono, senza essere ricordati. Da questo ci salva la preghiera. Perché può succedere, e anche spesso, di non capire i disegni di Dio. Ma le nostre grida non ristagnano quaggiù: salgono fino a Lui, che ha cuore di Padre, e che piange Lui stesso per ogni figlio e figlia che soffre e che muore.” Gesù che piange avanti alla tomba di Lazzaro ci fa capire che Dio “piange per i nostri dolori. Perché Dio ha voluto farsi uomo – diceva uno scrittore spirituale – per poter piangere. Pensare che Gesù piange con me nel dolore è una consolazione: ci aiuta ad andare avanti.” E conclude: “Coraggio avanti con la preghiera. Gesù è sempre accanto a noi”.
All’Angelus domenica 18 ottobre Francesco ha esortato ad essere cittadini onesti e allo stesso tempo testimoni dell’amore di Dio. Soffermandosi sul vangelo domenicale il Pontefice ha distinto i piani, richiamando ai doveri di ognuno quelli di essere buoni cittadini e buoni cristiani. “Pagare le tasse è un dovere dei cittadini, come anche l’osservanza delle leggi giuste dello Stato. Al tempo stesso, è necessario affermare il primato di Dio nella vita umana e nella storia, rispettando il diritto di Dio su ciò che gli appartiene. Da qui deriva la missione della Chiesa e dei cristiani: parlare di Dio e testimoniarlo agli uomini e alle donne del proprio tempo.” Ora la domanda scomoda posta a Gesù nasceva dal considerare offensiva l’immagine dell’imperatore romano impressa sulle monete, “era un’ingiuria al Dio d’Israele”. Il Maestro si pone al di sopra delle polemiche, riconoscendo che il tributo a Cesare va pagato” (è sua l’immagine sulla moneta), “ma soprattutto ricorda che ogni persona porta in sé un’altra immagine (la portiamo nel cuore, nell’anima), quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza, della propria vita.” Tutto ciò mette in chiaro quale sia la missione dei cristiani: “essere presenza viva nella società, animandola con il Vangelo e con la linfa vitale dello Spirito Santo”. E’ un impegno che chiede umiltà e coraggio, “portando il proprio contributo all’edificazione della civiltà dell’amore, dove regnano la giustizia e la fraternità.”
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.