Una figura esemplare per questi nostri tempi. E’ il Beato Olinto Marella, il “barbone di Dio.” E’ stato proclamato beato domenica scorsa 4 ottobre a Bologna durante la S.Messa presieduta, in rappresentanza del Papa, dall’arcivescovo, card. Matteo Maria Zuppi. Un “pastore secondo il cuore di Cristo, padre dei poveri, difensore dei deboli”. Così ne ha parlato Francesco all’Angelus, aggiungendo: “possa la sua straordinaria testimonianza essere modello per tanti sacerdoti, chiamati ad essere umili e coraggiosi servitori del popolo di Dio”. Don Olinto Marella era originario di Pellestrina, isolotto della laguna veneta tra Venezia e Chioggia, dove era nato il 14 giugno 1882 figlio di un medico condotto e pioniere dell’elioterapia, e di una maestra, maturò la vocazione presbiterale grazie anche all’influenza positiva dello zio prete. Studiò in seminario a Roma dove fu compagno di classe di Angelo Giuseppe Roncalli e venne ordinato sacerdote il 17 dicembre 1904. Fine studioso e amico dei poveri, sono due le anime di questo sacerdote che dovette sopportare anche la sospensione a divinis dal ministero, per poi essere reintegrato nella diocesi di Bologna (per aver ospitato Romolo Murri, uno degli esponenti del modernismo). Si dedicò all’insegnamento della filosofia in varie città, finché nel 1924 approdò a Bologna dove per 24 anni salì in cattedra in prestigiosi licei come il Galvani e il Minghetti. Sono tempi di vivace è fermento e anche il cattolicesimo non fa eccezione, animato com’è da forti spinte di rinnovamento interno. La povertà che vede intorno a sé sarà per lui la spinta decisiva a diventare uno dei più grandi testimoni della carità che siano mai esistiti. Infatti quello che soprattutto occupa i suoi pensieri e le sue preoccupazioni sono le condizioni del popolo; insieme al fratello, che è studente d’ingegneria, fonda il Ricreatorio popolare, che si prefigge di combattere l’analfabetismo dilagante a partire dalla prima infanzia. Nelle scuole che lo compongono, il sacerdote diventa per tutti un papà, ed è così che iniziano a chiamarlo “padre Olinto”. I ragazzi lo amano perché in quel prete trovano un compagno di giochi che insegna loro attraverso il teatrino, la biblioteca circolante, lo sport e addirittura suonando in una banda. Nelle scuole del Ricreatorio, inoltre, fatto unico per l’epoca, convivono entrambi i sessi, requisito che padre Olinto reputa fondamentale per lo sviluppo reciproco, e per far crescere assieme ai ragazzi un’idea di fratellanza e di vera integrazione umana. Non tutti, però, apprezzano l’operato di padre Olinto, che fa sempre più parlare di sé. Anche all’interno del clero, si fa dei nemici che se non lo etichettano direttamente come sovversivo, lo definiscono quantomeno “troppo evangelico e poco canonico”, fino ad arrivare alla sospensione a divinis. Quando, dopo ben 16 anni, nel 1925 don Olinto, reintegrato nel clero di Bologna, può provare di nuovo la gioia di celebrare Messa, si moltiplicano le opere cui dà vita, come la Città dei Ragazzi nel 1948, in cui educa i giovani orfani e abbandonati senza coercizioni, applicando il metodo dell’autogestione sorvegliata. Può finalmente approfondire il tema, a lui tanto caro, dell’educazione fondata sulla libertà, ma una libertà personale vera che viene da Cristo; prova a superare il modello della classica lezione orizzontale, a cui preferisce il colloquio diretto con i suoi studenti. Li interpella, li stimola, li conforta. In una parola: li ama. Per questa sua prossimità non solo spirituale ma fisica con chi ha bisogno, Padre Marella viene soprannominato “il barbone di Dio”. “A noi che ci confrontiamo con la pandemia – ha detto nell’omelia della beatificazione il card. Zuppi – Padre Marella insegna a non abituarci mai al male, a cercare risposte concrete per tutti. Siamo sulla stessa barca, tutti. Non accettiamo che nessuno sia lasciato fuori perché questo vuol dire abbandonarlo alle onde di tempeste terribili. Solo insieme possiamo uscirne”.
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