Mercoledì 1 aprile, all’Udienza generale in streaming nella Biblioteca del Palazzo Apostolico (per le misure di contrasto alla pandemia da coronavirus), il Papa ha riflettuto sulla sesta Beatitudine (sulla purezza del cuore come condizione per vedere Dio). Cercare il suo volto significa desiderare una relazione personale, come nel caso di Giobbe. “Questo è il cammino della vita, nei nostri rapporti con Dio. Conosciamo Dio per sentito dire, ma con la nostra esperienza andiamo avanti, avanti, avanti e alla fine lo conosciamo direttamente, se siamo fedeli … E questa è la maturità dello Spirito.” Come per i discepoli di Emmaus, l’origine della “cecità” è un cuore stolto e lento; così “si vedono le cose come annuvolate”. Infatti “per poter contemplare è necessario entrare dentro di noi e far spazio a Dio, perché, come dice S. Agostino, ‘Dio è più intimo a me di me stesso’ (‘interior intimo meo’ [Confessioni, III,6,11]). Per vedere Dio non serve cambiare occhiali o punto di osservazione, o cambiare autori teologici che insegnino il cammino: bisogna liberare il cuore dai suoi inganni! (…) Questa è una maturazione decisiva: quando ci rendiamo conto che il nostro peggior nemico, spesso, è nascosto nel nostro cuore. La battaglia più nobile è quella contro gli inganni interiori che generano i nostri peccati. Perché i peccati cambiano la visione interiore, cambiano la valutazione delle cose, ti fanno vedere cose che non sono vere, o almeno che non sono così vere.” Richiamando alla concezione biblica del cuore, che non consiste solo nei sentimenti ma nel “luogo più intimo dell’essere umano”, ha spiegato come il puro di cuore sia una persona che vive alla presenza del Signore e possiede una vita “unificata”, lineare e non tortuosa, frutto di un processo che implica “una liberazione e una rinuncia”. Egli “non nasce tale”, ma ha imparato a “rinnegare in sé il male”, (la “circoncisione del cuore” biblica), cioè di una purificazione interiore che implica il riconoscimento di quella parte del cuore che è sotto l’influsso del male per imparare invece a farsi condurre dallo Spirito Santo e, attraverso questo cammino del cuore, arrivare a “vedere Dio”. C’è poi una dimensione futura, la gioia del Regno dei Cieli, ma anche un’altra che ci fa “intendere i disegni della Provvidenza in quel che ci accade, riconoscere la sua presenza nei Sacramenti, la sua presenza nei fratelli, soprattutto poveri e sofferenti, e riconoscerlo dove Lui si manifesta.” Così, nel solco delle Beatitudini, inizia un camino di liberazione che dura tutta la vita: “non abbiamo paura, apriamo le porte del nostro cuore allo Spirito Santo perché ci purifichi e ci porti avanti in questo cammino verso la gioia piena”.
Domenica 5 aprile, (Le Palme), in una Basilica Vaticana che impressiona per i grandi spazi vuoti, il Papa ha ricordato quello che stiamo vivendo, e che tiene oggi anche i giovani, lontano da lui, “ci spinge a non perderci in cose di poco conto”. Di qui l’invito a stare davanti al Crocifisso, chiedendo “la grazia di vivere per servire”. E ai giovani il Papa indica i veri eroi, quelli che in questi giorni stanno accanto ai malati di Covid-19, “quelli che danno sé stessi per servire gli altri”, incoraggiandoli a non avere paura di spendere la vita “per Dio e per gli altri: ci guadagnerete!”. Ora “Dio ci ha salvato servendoci. In genere pensiamo di essere noi a servire Dio. No, è Lui che ci ha serviti gratuitamente, perché ci ha amati per primo. È difficile amare senza essere amati. Ed è ancora più difficile servire se non ci lasciamo servire da Dio.” Lo ha fatto “lasciando che il nostro male si accanisse su di Lui. Senza reagire, solo con l’umiltà, la pazienza e l’obbedienza del servo, esclusivamente con la forza dell’amore.” In questo suo servizio a noi, il Signore è arrivato “fino a provare le situazioni più dolorose per chi ama: il tradimento e l’abbandono”. Il Pontefice ha poi invitato a guardarci dentro, per vedere le nostre infedeltà, le nostre “falsità, ipocrisie e doppiezze”, le tante “buone intenzioni tradite”, le “promesse non mantenute”, i “propositi lasciati svanire”. Il Signore “conosce il nostro cuore meglio di noi, sa quanto siamo deboli e incostanti, quante volte cadiamo, quanta fatica facciamo a rialzarci e quant’è difficile guarire certe ferite”. E per servirci ci guarisce dalle nostre fedeltà, amandoci profondamente.
All’Angelus, ha inviato un messaggio ai giovani, nella Giornata a loro dedicata, anche se difficilmente celebrata pubblicamente a causa della pandemia. Ha inviato così a “coltivare e testimoniare la speranza, la generosità, la solidarietà di cui tutti abbiamo bisogno in questo tempo difficile”. I giovani “vivono in maniera inedita, a livello diocesano, l’odierna Giornata Mondiale della Gioventù”. Oggi “era previsto il passaggio della Croce dai giovani di Panamá a quelli di Lisbona”, ma “questo gesto così suggestivo è rinviato alla domenica di Cristo Re, il 22 novembre prossimo”. Il riferimento però è alla Pasqua, incoraggiando ad incamminarsi “con fede nella Settimana Santa nella quale Gesù soffre, muore e risorge”, stringendosi “spiritualmente ai malati, ai loro familiari e a quanti li curano con abnegazione; preghiamo per i defunti, nella luce della fede pasquale. Ciascuno è presente al nostro cuore, al nostro ricordo, alla nostra preghiera.” L’invito, è in mancanza della partecipazione diretta alle celebrazioni liturgiche, è a “raccogliersi in preghiera in casa, aiutati anche dai mezzi tecnologici”. Così ad imparare da Maria “il silenzio interiore, lo sguardo del cuore, la fede amorosa per seguire Gesù sulla via della croce, che conduce alla gloria della Risurrezione. Lei cammina con noi e sostiene la nostra speranza.”
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