Mercoledì 11 settembre, all’udienza generale, il Papa ha ripercorso le tappe salienti del suo viaggio apostolico che tra il 4 e il 10 settembre l’ha porto come “pellegrino di pace e speranza” in Mozambico, Madagascar e Mauritius. Nella prima tappa in Mozambico, segnato dalle sofferenze del lungo conflitto armato, la Chiesa continua ad accompagnare il percorso di pace con un nuovo accordo firmato il 1 agosto, scorso, grazie anche all’impegno della Comunità di Sant’Egidio. Una terra provata anche dal passaggio, in primavera, dei cicloni Idai e Kenenth. Per questo ha incoraggiato le autorità a lavorare per il bene comune e di giovani a costruire, diffondendo l’amicizia sociale La strada del “sì” generoso di Maria a Nazareth è, poi, quella indicata a vescovi, sacerdoti, religiosi, nella cattedrale di Maputo, giovedì scorso. Segno di questa presenza evangelica è l’ospedale di Zimpeto, dove si è recato, dove “tutti lavorano per gli ammalati”, anche se “non tutti hanno la stessa appartenenza religiosa (…), ma tutti, tutti insieme per il popolo, uniti, come fratelli.”
Il suo pensiero è andato quindi al Madagascar, Paese ricco di bellezze naturali ma segnato da grande povertà, esortando il popolo malgascio a costruire un futuro di sviluppo, coniugando il rispetto dell’ambiente e la giustizia sociale. “Come segno profetico in questa direzione, ho visitato la ‘Città dell’amicizia’ – Akamasoa, fondata da un missionario lazzarista, padre Pedro Opeka: là si cerca di unire lavoro, dignità, cura dei più poveri, istruzione per i bambini. Tutto animato dal Vangelo.” Qui ha pregato per i lavoratori, incontrando poi le monache contemplative di diverse congregazioni, perché “senza la fede e la preghiera non si costruisce una città degna dell’uomo.”
E’ stata l’occasione per venerare la beata Victorie Rasoamanarivo, per la Veglia con i giovani e la Messa con circa un milione di persone.
Poi a Mauritius “luogo di integrazione fra diverse etnie e culture”, frutto dell’approdo nell’isola di popolazioni provenienti da diversi luoghi, specialmente dall’India e che ha conosciuto un forte sviluppo, come rilevante è il dialogo interreligioso e l’amicizia fra i capi delle diverse confessioni religiose. Le autorità mauriziane sono chiamate a proseguire anche oggi l’impegno di armonizzare le differenze in un progetto comune con la capacità di accoglienza e lo sforzo di sviluppare la vita democratica. Poi la Messa a Port Luis, dove ha evidenziato il “Vangelo delle Beatitudini, carta d’identità dei discepoli di Cristo” che “in quel contesto è antidoto contro la tentazione di un benessere egoistico e discriminatorio”, come pure “lievito di vera felicità, impregnata di misericordia, di giustizia e di pace. Sono stato colpito dal lavoro che i vescovi fanno per l’evangelizzazione dei poveri.”
Domenica 15 settembre, all’Angelus, commentano il Vangelo domenicale, ha messo in rilievo che chi si perde può ritrovare la strada e dare una svolta alla propria vita accogliendo il perdono di Dio che non si stanca di aspettare ogni suo figlio. In ogni Messa, in ogni chiesa, “Gesù è contento di accoglierci alla sua mensa, dove offre sé stesso per noi”, a suggellare la misericordia di Dio, “l’amore del Padre che vince il peccato”. Nel Vangelo “il Signore, rispondendo a quelli che lo criticavano, racconta tre parabole stupende che mostrano la sua predilezione per coloro che si sentono lontani da Lui”. Se, di fronte ad una pecora perduta “una persona di buon senso (…) fa due calcoli e ne sacrifica una per mantenere le novantanove”, invece Dio “non si rassegna”, perché a Lui stiamo a cuore. “Proprio tu che ancora non conosci la bellezza del suo amore, tu che non hai ancora accolto Gesù al centro della tua vita, tu che non riesci a superare il tuo peccato, tu che forse per le cose brutte che sono accadute nella tua vita non credi nell’amore.” Così noi siamo (come nella seconda parabola, della dramma perduta da una donna) “quella piccola moneta che il Signore non si rassegna a perdere e cerca senza sosta: vuole dirti che sei prezioso ai suoi occhi, che sei unico. Nessuno ti può sostituire nel cuore di Dio.” Nella terza parabola, Dio è il padre che attende “il ritorno del figlio prodigo”, perché “Dio sempre ci aspetta, non si stanca, non si perde d’animo. Perché siamo noi, ciascuno di noi quel figlio riabbracciato, quella moneta ritrovata, quella pecora accarezzata e rimessa in spalla.” Chi si perde, nonostante i periodi di smarrimento, ha la certezza che “il Signore attende ogni giorno che ci accorgiamo del suo amore”. Di qui l’invito: “non avere paura: Dio ti ama come sei e sa che solo il suo amore può cambiare la tua vita”. L’amore infinito di Dio per noi peccatori, però, può essere rifiutato: “egli non capisce l’amore in quel momento e ha in mente più un padrone che un padre. È un rischio anche per noi: credere in un dio più rigoroso che misericordioso, un dio che sconfigge il male con la potenza piuttosto che col perdono. Non è così, Dio salva con l’amore, non con la forza; proponendosi, non imponendosi.” Anche noi, come il figlio maggiore, sbagliamo “quando ci crediamo giusti, quando pensiamo che i cattivi siano gli altri”, non accorgendoci che “da soli, senza l’aiuto di Dio che è buono, non sappiamo vincere il male”. Il male si potrà sconfiggere “accogliendo il perdono di Dio e il perdono dei fratelli. Succede ogni volta che andiamo a confessarci: lì riceviamo l’amore del Padre che vince il nostro peccato: non c’è più, Dio lo dimentica. Dio, quando perdona, perde la memoria, dimentica i nostri peccati, dimentica. È tanto buono Dio con noi! Non come noi, che dopo aver detto ‘non fa nulla’, alla prima occasione ci ricordiamo con gli interessi dei torti subiti. No, Dio cancella il male, ci fa nuovi dentro e così fa rinascere in noi la gioia, non la tristezza, non l’oscurità nel cuore, non il sospetto, ma la gioia. (…) Con Dio nessun peccato ha l’ultima parola.”
Il Papa ha anche ricordato la beatificazione, sabato 14 settembre a Forlì, di Benedetta Bianchi Porro, morta a soli 28 anni nel 1964. “Tutta la sua vita è stata segnata dalla malattia, e il Signore le ha dato la grazia di sopportarla, anzi, di trasformarla in testimonianza luminosa di fede e di amore”. Il pensiero del Pontefice è andato anche alla beatificazione (domenica 15) di padre Riccardo Henkes, “sacerdote pallottino, ucciso in odio alla fede a Dachau nel 1945”. Martire del nazismo, padre Henkes ha combattuto il regime fin dall’inizio. “L’esempio di questi due coraggiosi discepoli di Cristo sostenga anche il nostro cammino di santità”.
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