Mercoledì 28 novembre, all’Udienza generale, ha concluso la catechesi sui Dieci Comandamenti, considerando che “se sono i desideri malvagi” a rovinare l’uomo, “lo Spirito depone nel nostro cuore i suoi santi desideri, che sono il germe della vita nuova”. Il Pontefice si è riferito così ai frutti dello Spirito (di cui parla S. Paolo nella lettera ai Galati) che sono “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. Infatti “la vita nuova infatti non è il titanico sforzo per essere coerenti con una norma, ma la vita nuova è lo Spirito stesso di Dio che inizia a guidarci fino ai suoi frutti, in una felice sinergia fra la nostra gioia di essere amati e la sua gioia di amarci. Si incontrano le due gioie: la gioia di Dio di amarci e la nostra gioia di essere amati.” Dio “non chiede niente prima di aver dato molto di più”, ma ci invita “all’obbedienza per riscattarci dall’inganno delle idolatrie che tanto potere hanno su di noi”. Occorre “cercare la propria realizzazione negli idoli di questo mondo ci svuota e ci schiavizza, mentre ciò che ci dà statura e consistenza è il rapporto con Lui che, in Cristo, ci rende figli a partire dalla sua paternità.” Così la “vita liberata diventa accoglienza della nostra storia personale e ci riconcilia con ciò che, dall’infanzia al presente, abbiamo vissuto, facendoci adulti e capaci di dare il giusto peso alle realtà e alle persone della nostra vita. Per questa strada entriamo nella relazione con il prossimo che, a partire dall’amore che Dio mostra in Gesù Cristo, è una chiamata alla bellezza della fedeltà, della generosità e della autenticità.”
Per vivere in tal modo, però, abbiamo bisogno “di un cuore nuovo, inabitato dallo Spirito Santo”, grazie al “dono di desideri nuovi che vengono seminati in noi dalla grazia di Dio, in modo particolare attraverso i Dieci Comandamenti portati a compimento da Gesù, come Lui insegna nel ‘discorso della montagna’”. La vita descritta dal Decalogo è “un’esistenza grata, libera, autentica, benedicente, adulta, custode e amante della vita, fedele, generosa e sincera”, cosicché noi “quasi senza accorgercene” ci ritroviamo “davanti a Cristo”. Come nella S. Sindone, “il Decalogo è la sua radiografia (…), come un negativo fotografico che lascia apparire il suo volto. (…) E così lo Spirito Santo feconda il nostro cuore mettendo in esso i desideri che sono un dono suo, i desideri dello Spirito. Desiderare secondo lo Spirito, desiderare al ritmo dello Spirito, desiderare con la musica dello Spirito.” In Cristo vediamo dunque “la bellezza, il bene, la verità” e lo Spirito “innesca in noi la speranza, la fede e l’amore”. Da “una serie di prescrizioni e di divieti”, la legge secondo lo Spirito “diventa vita”, perché “non è più una norma ma la carne stessa di Cristo, che ci ama, ci cerca, ci perdona, ci consola e nel suo Corpo ricompone la comunione con il Padre, perduta per la disobbedienza del peccato”.
In questo modo “la negatività nell’espressione dei comandamenti (non rubare, non insultare, non uccidere …) “quel ‘non’ si trasforma in un atteggiamento positivo: amare, fare posto agli altri nel mio cuore, tutti desideri che seminano positività. E questa è la pienezza della legge che Gesù è venuto a portarci.” In Cristo il Decalogo smette di essere condanna e diventa “l’autentica verità della vita umana” da cui “nasce un desiderio del bene, di fare il bene – desiderio di gioia, desiderio di pace, di magnanimità, di benevolenza, di bontà, di fedeltà, di mitezza, dominio di sé. Da quei ‘no’ si passa a questo ‘sì’: atteggiamento positivo di un cuore che si apre con la forza dello Spirito Santo.” Cercare il Signore nel Decalogo vuol dire allora “fecondare il nostro cuore perché sia gravido di amore, e si apra all’opera di Dio”.
All’Angelus domenica 2 dicembre il Papa ha spiegato come vivere l’Avvento all’accoglienza di Gesù, risvegliando in noi anche l’attesa del ritorno glorioso di Cristo e invitando ciascuno di noi a prepararci all’ “incontro finale con Lui con scelte coerenti e coraggiose”. Occorre “uscire da un modo di vivere rassegnato e abitudinario, alimentando speranze e sogni per un futuro nuovo. Il Vangelo di questa domenica va proprio in tale direzione e ci mette in guardia dal lasciarci opprimere da uno stile di vita egocentrico e dai ritmi convulsi delle giornate.” Un tempo da viver stando svegli e pregando: “il sonno interiore nasce dal girare sempre attorno a noi stessi e dal restare bloccati nel chiuso della propria vita coi suoi problemi, le sue gioie e i suoi dolori, ma sempre girare intorno a noi stessi. E questo stanca, questo annoia, questo chiude la speranza.”
Vigilare significa guardare oltre sé stessi, per aprirci ai fratelli e “al desiderio di un mondo nuovo”, come quello “di tanti popoli martoriati dalla fame, dall’ingiustizia e dalla guerra; è il desiderio dei poveri, dei deboli, degli abbandonati. Questo tempo è opportuno per aprire il nostro cuore, per farci domande concrete su come e per chi spendiamo la nostra vita.” Bisogna poi pregare, cioè rivolgere i pensieri e il cuore a Gesù che sta per venire: “pregare, attendere Gesù, aprirsi agli altri, essere svelti, non chiusi in noi stessi. Ma se noi pensiamo al Natale in un’area di consumismo, di vedere cosa posso comprare per fare quello e l’altro, di fare festa mondana, Gesù passerà e non lo troveremo. Noi attendiamo Gesù e lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza.” Bisogna stare attenti (facendo nostro il richiamo di Geremia) a non “mondanizzarci e di perdere la nostra identità, anzi, di ‘paganizzare’ lo stile cristiano”, credendo (come Israele di allora) che Dio realizzerà per noi le sue promesse.
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