La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Nella festa di Tutti i Santi, il 1 novembre, Francesco ha ricordato che i Santi “non sono modellini perfetti ma persone attraversate da Dio” che hanno accolto la luce del Signore “nel loro cuore e l’hanno trasmessa al mondo”, perché “chi sta con Gesù è beato, è felice”. Infatti “la felicità non sta nell’avere qualcosa o nel diventare qualcuno, no, la felicità vera è stare col Signore e vivere per amore”. Le beatitudini sono “ingredienti per una vita felice”, per cui “sono beati i semplici, gli umili che fanno posto a Dio, che sanno piangere per gli altri e per i propri sbagli, restano miti, lottano per la giustizia, sono misericordiosi verso tutti, custodiscono la purezza del cuore, operano sempre per la pace e rimangono nella gioia, non odiano e, anche quando soffrono, rispondono al male con il bene”. I santi “respirano come tutti l’aria inquinata dal male che c’è nel mondo, ma nel cammino non perdono mai di vista il tracciato di Gesù, quello indicato nelle beatitudini, che sono come la mappa della vita cristiana”. La festa dei Santi, “di quelli che hanno raggiunto la meta (…), tanti fratelli e sorelle ‘della porta accanto’, che magari abbiamo incontrato e conosciuto” è “una festa di famiglia, di tante persone semplici e nascoste che in realtà aiutano Dio a mandare avanti il mondo”. Sono i poveri in spirito, cioè coloro “che non vivono per il successo, il potere e il denaro; sanno che chi accumula tesori per sé non arricchisce davanti a Dio (cfr Lc 12,21). Credono invece che il Signore è il tesoro della vita, l’amore al prossimo l’unica vera fonte di guadagno. A volte siamo scontenti per qualcosa che ci manca o preoccupati se non siamo considerati come vorremmo; ricordiamoci che non sta qui la nostra beatitudine, ma nel Signore e nell’amore: solo con Lui, solo amando si vive da beati”.
Il 2 novembre, nella Commemorazione dei fedeli defunti, il Papa ha celebrato l’Eucaristia al Cimitero Americano di Nettuno. Nell’omelia ha fattoi riferimento alla speranza è quella di ri-incontrare Dio, di ri-incontrarci tutti noi, e questa, è “speranza che non delude”. Essa “tante volte nasce e mette le sue radici in tante piaghe umane, in tanti dolori umani e quel momento di dolore, di piaga, di sofferenza ci fa guardare il Cielo”. Poi ha pronunciato parole forti e ferme: “non più. Non più la guerra, implora il Papa, non più questa strage inutile”, come aveva detto Benedetto XV. “Meglio sperare senza questa distruzione: giovani … migliaia, migliaia, migliaia, migliaia … speranze rotte. Non più, Signore”. Una preghiera quanto mai attuale oggi quando “il mondo un’altra volta è in guerra e si prepara per andare più fortemente in guerra”. Con la guerra si perde tutto.
Ha fatto poi tappa al Sacrario delle Fosse Ardeatine, pregando il Signore di farci togliere “i calzari dell’egoismo e dell’indifferenza” di fronte ai “volti” e ai “nomi”, molti tutt’oggi ignoti, dei caduti “per la libertà e la giustizia”. Il Pontefice ha sostato tra le 335 tombe, di cui 12 non hanno un nome, ma ha assicurato che per Dio “nessuno è ignoto”: non è il “Dio dei morti ma dei viventi”, perché si tratta di una “alleanza di amore fedele” che è “più forte della morte ed è garanzia di resurrezione”.
Domenica 5 novembre, all’Angelus, riferendosi al Vangelo, ha ricordato che se l’autorità viene esercitata male, crea “un clima di sfiducia e di ostilità”. E’ il “cattivo esercizio dell’autorità che invece dovrebbe avere la sua prima forza proprio dal buon esempio. L’autorità nasce dal buon esempio, per aiutare gli altri a praticare ciò che è giusto e doveroso, sostenendoli nelle prove che si incontrano sulla via del bene”. Di qui l’esortazione a vivere l’autorità come un aiuto perché “se viene esercitata male, diventa oppressiva, non lascia crescere le persone e (…) porta alla corruzione”. Ora “noi discepoli di Gesù non dobbiamo cercare titoli di onore, di autorità o di supremazia. Io vi dico che a me personalmente addolora vedere persone che psicologicamente vivono correndo dietro la vanità delle onorificenze. Noi, discepoli di Gesù non dobbiamo fare questo, poiché tra di noi ci dev’essere un atteggiamento semplice e fraterno”. Infatti “siamo tutti fratelli e non dobbiamo in nessun modo sopraffare gli altri”, perché “se abbiamo ricevuto delle qualità dal Padre celeste, le dobbiamo mettere al servizio dei fratelli, e non approfittarne per la nostra soddisfazione e interesse personale”. L’invito è a non considerarsi superiori agli altri perché “la modestia è essenziale per una esistenza che vuole essere conforme all’insegnamento di Gesù”, che è venuto per servire, non per essere servito.
Gian Paolo Cassano

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