LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
All’udienza generale di mercoledì 3 maggio Francesco ha ripercorso il suo viaggio apostolico in Egitto che è stato “un segno di pace” in una regione che soffre per confitti e terrorismo. Ha ricordato l’incontro con il mondo musulmano presso Al Azhar, la più antica università islamica e massima istituzione accademica dell’islam sunnita, contraddistinto dalle dimensioni del dialogo fra cristiani e musulmani e della pace nel mondo. La pace si costruisce anche “ripartendo dall’alleanza fra Dio e l’uomo, fondamento dell’alleanza fra tutti gli uomini” e basata “sul Decalogo scritto sulle tavole di pietra del Sinai, ma molto più profondamente nel cuore di ogni uomo di ogni tempo e luogo”. Una legge che si riassume nei comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo e su cui si costruisce anche l’ordine sociale e civile al quale “sono chiamati a collaborare tutti i cittadini, di ogni origine, cultura e religione”. E’ una “visione di sana laicità” che “è emersa nello scambio di discorsi” con il presidente della Repubblica d’Egitto, Al Sisi. Altro momento cruciale della sua visita è stato l’incontro con Papa Tawadros, Patriarca dei copti ortodossi, un “forte segno di comunione”, rinnovando “l’impegno, anche firmando una Dichiarazione Comune, di camminare insieme” e pregando “per i martiri dei recenti attentati che hanno colpito tragicamente quella venerabile Chiesa”. Il secondo giorno del viaggio è stato dedicato, invece, ai fedeli cattolici. Qui il Papa ha visto “la bellezza della Chiesa in Egitto”, pregando “per tutti i cristiani nel Medio Oriente” perché siano “sale e luce in quelle terre”. L’Egitto è stato un segno di speranza, di rifugio, di aiuto, nella storia di Giacobbe e della S. Famiglia. “Per questo, raccontarvi questo viaggio significa percorrere il cammino della speranza: per noi l’Egitto è quel segno di speranza sia per la storia sia per l’oggi, di questa fraternità che ho voluto raccontarvi”.
Come da tradizione, nella domenica del Buon Pastore (Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni) il Papa ordina dei nuovi sacerdoti. Così è avvenuto domenica 7 maggio in San Pietro. Rivolgendosi ai 10 nuovi presbiteri (di cui sei della diocesi di Roma) ha ricordato che “sono stati eletti dal Signore Gesù non per fare carriera, ma per fare questo servizio”. Li ha incoraggiati a leggere e meditare “assiduamente la Parola del Signore”: così potrete “credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato”. Li ha consigliati di essere semplici nella predicazione, perché l’omelia sia “vero nutrimento” e che “sia gioia e sostegno ai fedeli il profumo della vostra vita, perché la parola senza l’esempio di vita non serve”.
Infatti “un presbitero che ha studiato forse tanta teologia e ha fatto una, due, tre lauree ma non ha imparato a portare la Croce di Cristo, non serve. Sarà un buon accademico, un buon professore, ma non un sacerdote”. Ma soprattutto ha chiesto loro “di essere misericordiosi. Sempre. Non caricare sulle spalle dei fedeli pesi che non possono portare, neppure voi. Gesù rimproverò a questi, a questi dottori e li chiamò ipocriti.” Ha poi evidenziato, tra i compiti del sacerdote “quello di andare a trovare gli ammalati”, invitandoli a “toccare la carne di Cristo sofferente negli ammalati: questo santifica voi, vi avvicina al Cristo”. Ha concluso poi con un richiamo: “siate gioiosi, mai tristi. Gioiosi. Con la gioia del servizio di Cristo, anche in mezzo alle sofferenze, alle incomprensioni, ai propri peccati”. Seguendo Cristo Buon Pastore, “che non è venuto per essere servito ma per servire” li ha incoraggiati a non essere “chierici di Stato, ma pastori: pastori del popolo di Dio”.
Al Regina Coeli Francesco ha esortato a non lasciarsi distogliere dalle false sapienze di questo mondo, ma a seguire Gesù. Riferendosi al Vangelo domenicale in cui Gesù si presenta come Buon Pastore e porta delle pecore, ha evidenziato due immagini che si completano a vicenda, quella del capo la cui autorità si esprime nel servizio, “un capo che per comandare dona la vita e non chiede ad altri di sacrificarla”. Per questo “di un capo così ci si può fidare”, perché le pecore sanno che con lui si va verso pascoli abbondanti che sentono come “presenza amica, forte e dolce insieme”, che “consola e medica”. E’ quella di Gesù per noi. Infatti “c’è una dimensione dell’esperienza cristiana che forse lasciamo un po’ in ombra: la dimensione spirituale e affettiva. Il sentirci legati da un vincolo speciale al Signore come le pecore al loro pastore. A volte razionalizziamo troppo la fede e rischiamo di perdere la percezione del timbro di quella voce, della voce di Gesù buon pastore, che stimola e affascina”. E’ stata l’esperienza dei discepoli di Emmaus, “la meravigliosa esperienza di sentirsi amati da Gesù.” Ora “c’è sempre il rischio di essere distratti dal frastuono di tante altre voci. Oggi siamo invitati a non lasciarci distogliere dalle false sapienze di questo mondo, ma a seguire Gesù, il Risorto, come unica guida sicura che dà senso alla nostra vita”.
Dopo la preghiera del Regina Coeli, ha ricordato i nuovi Beati proclamati sabato 6 maggio in Spagna, “uccisi in odio alla fede in un tempo di persecuzione religiosa” auspicando che il loro martirio “susciti nella Chiesa il desiderio di testimoniare con fortezza il Vangelo della carità”.
Gian Paolo Cassano
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