LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
Un viaggio intenso quello del Papa in Corea del Sud dal 14 al 18 agosto (il suo terzo viaggio internazionale), per partecipare alla VI Giornata Asiatica della Gioventù e la proclamazione di 124 Beati.
Accolto dalla presidente sudcoreana Park Geun-hye, nel suo primo discorso, ha lanciato un forte appello per la pace e alla riconciliazione tra le due Coree: la “ricerca della pace da parte della Corea è una causa che ci sta particolarmente a cuore perché influenza la stabilità dell’intera area e del mondo intero, stanco della guerra”. La Corea del Nord Infatti ha accolto a suo modo il pontefice nella penisola, lanciando tre razzi che sono caduti in mare mentre la rivale Seul gli dava il benvenuto ed altri due poco dopo l’arrivo.
Incontrando poi nella mattinata del 14 agosto i vescovi sud coreani ha chiesto di essere testimoni di una “Chiesa costantemente in uscita verso il mondo” e di rifiutare i “criteri mondani” del successo e del potere. “La nostra memoria dei martiri e delle generazioni passate di cristiani deve essere realistica, non idealizzata o ‘trionfalistica’. Guardare al passato senza ascoltare la chiamata di Dio alla conversione nel presente non ci aiuterà a proseguire il cammino; al contrario frenerà o addirittura arresterà il nostro progresso spirituale”.
Essere custodi della memoria “significa qualcosa di più che ricordare e fare tesoro delle grazie del passato”, ma anche “trarne le risorse spirituali per affrontare con lungimiranza e determinazione le speranze, le promesse e le sfide del futuro”. Accettare “la sfida di essere una Chiesa missionaria” vuol dire “sviluppare quel ‘gusto spirituale’ che ci rende capaci di accogliere e di identificarci con ogni membro del Corpo di Cristo”. Ha messo poi in guardia dalla “tentazione che viene nei momenti di prosperità. E’ il pericolo che la comunità cristiana si socializzi, cioè (…) E’ la tentazione del benessere spirituale, del benessere pastorale. Non c’è una Chiesa povera per i poveri, ma una Chiesa ricca per i ricchi o una Chiesa di classe media per i benestanti …”
Due gli appuntamenti centrali della sua visita. Il primo è avvenuto sabato 16 ottobre, di fronte ad una folla straripante di fedeli (circa 1 milione) celebrando la S. Messa di beatificazione di Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri, presso la Porta di Gwanghwamun, luogo simbolo di Seoul. Il Pontefice ha ricordato la vittoria e la testimonianza di chi ha pagato con il supremo sacrificio la loro fede in Dio. Paolo Yun Ji-chung e i suoi compagni hanno sigillato la loro missione di precursori con il martirio e da qui è scaturito il seme di nuovi cristiani: “il loro esempio ha molto da dire a noi, che viviamo in società dove, accanto ad immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà; dove raramente viene ascoltato il grido dei poveri; e dove Cristo continua a chiamare, ci chiede di amarlo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratelli e sorelle bisognosi”. L’esempio dei martiri ci insegna l’importanza della carità nella vita di fede e la loro eredità può ispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad operare in armonia per una società più giusta, libera e riconciliata. “Nella misteriosa provvidenza di Dio, la fede cristiana non giunse ai lidi della Corea attraverso missionari; vi entrò attraverso i cuori e le menti della gente coreana stessa. Essa fu stimolata dalla curiosità intellettuale, dalla ricerca della verità religiosa. Attraverso un iniziale incontro con il Vangelo, i primi cristiani coreani aprirono le loro menti a Gesù. Volevano conoscerlo di più, questo Cristo che ha sofferto, è morto ed è risorto dai morti”.
Il secondo è stato l’incontro coi giovani, in due momenti. Il 15 agosto, a Daejeon, presso il Santuario di Solmoe: un’ora e mezzo di entusiasmo e di attenzione alle parole del Papa, che ha inviato al perdono spiegando ai giovani cosa significhi scegliere di seguire Gesù nella vita. Ha incoraggaito a pregare per la riunificazione dell’“unica famiglia” della Corea, fatta di fratelli che parlano “la stessa lingua”. Per questo “prima di tutto, il consiglio: pregare; pregare per i nostri fratelli del Nord. (…) Adesso, la speranza. Qual è la speranza? Ma, ci sono tante speranze, ma ce ne è una bella: la Corea è una, è una famiglia. Ma, voi parlate la stessa lingua, la lingua di famiglia; voi siete fratelli che parlate la stessa lingua (…) Pensate ai vostri fratelli del Nord: loro parlano la stessa lingua e quando in famiglia si parla la stessa lingua, c’è anche una speranza umana”. Ha dialogato con i giovani, passando all’italiano, la lingua che gli permette di far parlare direttamente il cuore. Rispondendo a Mey, giovane cambogiana divisa tra il seguire la consacrazione religiosa e l’impegno di tipo laicale, ha parlato di “…un conflitto apparente, perché quando il Signore chiama, chiama sempre per fare il bene agli altri: sia alla vita religiosa, alla vita consacrata, sia alla vita laicale, come padre e madre di famiglia. Ma lo scopo è lo stesso: adorare Dio e fare il bene agli altri (…) Ma tu non devi scegliere nessuna strada! La deve scegliere il Signore! Gesù l’ha scelta! Tu devi sentire Lui e chiedere: ‘Signore cosa devo fare?’”. Papa Francesco si è poi impegnato nel far conoscere l’esistenza di martiri cambogiani tuttora sconosciuti, uccisi in particolare durante gli anni del sanguinario regime di Pol Pot. Il Papa ha concluso ribadendo la certezza che è la pietra d’angolo del suo Pontificato, e cioè che Dio è misericordia e pazienza infinite: “nessuno di noi sa cosa ci aspetta nella vita. E voi giovani: ‘Ma, cosa mi aspetta?’. Noi possiamo fare cose brutte, bruttissime, ma per favore non disperare, sempre c’è il Padre che ci aspetta! Tornare! Tornare! Quella è la parola. Come back! Tornare a casa, perché mi aspetta il Padre. E se io sono molto peccatore, farà una grande festa. E a voi sacerdoti, per favore, abbracciate i peccatori e siate misericordiosi”.
Domenica 17 agosto, poi, concludendo l’incontro con la Gioventù con l’Eucaristia celebrata nel piazzale del Castello di Haemi (a 100 km da Seoul) ha incoraggiato a non lasciare intorpidire da una vita sbagliata la sensibilità per la gioia del Vangelo, spiegando il significato del motto scelto per l’evento, “Gioventù dell’Asia, alzati!”, a partire proprio dall’appartenenza geografica dei ragazzi. “Il continente asiatico, imbevuto di ricche tradizioni filosofiche e religiose, rimane una grande frontiera per la vostra testimonianza a Cristo, ‘via, verità e vita’. Quali giovani che non soltanto vivete in Asia, ma siete figli e figlie di questo grande continente, avete il diritto e il compito di prendere parte pienamente alla vita delle vostre società. Non abbiate paura di portare la sapienza della fede in ogni ambito della vita sociale!” Esiste una profonda sintonia, un’intesa reale tra le attese dei giovani e il Vangelo, perché solo in Gesù, il giovane trova le autentiche risposte che gli stanno più a cuore, invitandoli ad essere “capaci di discernere ciò che è incompatibile con la vostra fede cattolica, ciò che è contrario alla vita di grazia innestata in voi col Battesimo, e quali aspetti della cultura contemporanea sono peccaminosi, corrotti e conducono alla morte”. Nell’invito ‘Alzati!’, c’è poi “una responsabilità che il Signore vi affida. E’ il dovere di essere vigilanti per non lasciare che le pressioni, le tentazioni e i nostri peccati o quelli di altri intorpidiscano la nostra sensibilità per la bellezza della santità, per la gioia del Vangelo”.
Per questo occorre dire “no ad un’economia dell’esclusione, no ad un’economia dell’egoismo, no allo spirito del materialismo. No, no, no! Sì all’incontro personale con Gesù, Sì al grido del povero, del bisognoso, di chi è solo e sì al mondo che ci attende con impazienza”, come ha detto il cardinale Oswald Gracias, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche, nel suo indirizzo di saluto al Papa.
In precedenza, nella Solennità dell’Assunzione, Papa Francesco aveva presieduto la S. Messa nello stadio di Daejon, invocando la protezione di Maria e pregando affinché i cristiani possano essere una forza generosa di rinnovamento spirituale. Nell’Omelia ha invocato la protezione di Maria, Madre della Chiesa in Corea, e pregato affinché i cristiani della nazione possano essere una forza generosa di rinnovamento spirituale in ogni ambito della società: “combattano il fascino di un materialismo che soffoca gli autentici valori spirituali e culturali e lo spirito di sfrenata competizione che genera egoismo e conflitti. Respingano inoltre modelli economici disumani che creano nuove forme di povertà ed emarginano i lavoratori, e la cultura della morte che svaluta l’immagine di Dio, il Dio della vita, e viola la dignità di ogni uomo, donna e bambino”.
Durante l’Angelus Papa Francesco ha affidato alla Madonna ha affidato le vittime di Sewol e i loro familiari: “il Signore accolga i defunti nella sua pace, consoli coloro che piangono, e continui a sostenere quanti così generosamente sono venuti in aiuto dei loro fratelli e sorelle. Questo tragico evento, che ha unito tutti i Coreani nel dolore, confermi il loro impegno a collaborare insieme, solidali, per il bene comune”.
Incontrando i religiosi e le religiose ha detto: “solo se la nostra testimonianza è gioiosa potremo attrarre uomini e donne a Cristo; e tale gioia è un dono che si nutre di una vita di preghiera, di meditazione della Parola di Dio, della celebrazione dei Sacramenti e della vita comunitaria. Quando queste mancano, emergeranno le debolezze e le difficoltà che oscureranno la gioia conosciuta così intimamente all’inizio del nostro cammino”.
Incontrando i laici nel Centro di spiritualità di Kkottongnae (la cittadella della carità a 90 km da Seoul) ha fattoi memoria di come se oggi esiste una Chiesa nel Paese è perché ieri in larga parte dei laici l’hanno fondata, promossa e difesa anche perdendo la vita. Caratteristica della Corea è l’Apostolato dei laici, una rete che conta 37 sedi in tutta la nazione e basi in 16 diocesi, un sistema capillare, erede di una sensibilità evangelica che si traduce in opere di “esemplare carità”, che non badano alla “cultura e allo stato sociale” di chi ne beneficia. “Questa attività non si esaurisce con l’assistenza caritativa, ma deve estendersi anche ad un impegno per la crescita umana”. Ha speso poi parole di gratitudine per le “donne cattoliche coreane” e per il “prezioso contributo” che, dice, offrono “alla vita e alla missione della Chiesa in questo Paese, come madri di famiglia, catechiste e insegnanti e in altri svariati modi”. Ma a tutti ha chiesto “una testimonianza credibile dei laici alla verità salvifica del Vangelo, al suo potere di purificare e trasformare il cuore umano, e alla sua fecondità nell’edificare la famiglia umana in unità, giustizia e pace”.
Il viaggio apostolico si è concluso a Seoul con uno degli eventi più attesi, la Messa per la pace e la riconciliazione in Corea, nella Cattedrale di Myeong-dong. “Preghiamo – ha detto nell’omelia – per il sorgere di nuove opportunità di dialogo, di incontro e di superamento delle differenze, per una continua generosità nel fornire assistenza umanitaria a quanti sono nel bisogno e per un riconoscimento sempre più ampio della realtà che tutti i coreani sono fratelli e sorelle.” Infine, la sua preghiera affinché il dialogo e gli scambi possano contribuire alla riconciliazione delle due popolazioni: “possano i seguaci di Cristo in Corea preparare l’alba di quel nuovo giorno, quando questa terra del calmo mattino godrà le più ricche benedizioni divine di armonia e di pace!”
Gian Paolo Cassano
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