La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
L’invito a sperare in Gesù, ad accogliere gli immigrati e a salvaguardare il creato; il no all’illegalità e alla corruzione: questi i compiti che il Papa ha consegnato durante la Messa presieduta davanti alla Reggia di Caserta, alla presenza di oltre 200mila persone sabato scorso 26 luglio. “Non lasciatevi rubare la speranza!” Così Francesco ha esortato indicando in Gesù la speranza ed il tesoro che trasforma l’esistenza degli uomini una volta che lo hanno trovato: “Gesù insegna che cosa è il Regno dei cieli, come lo si trova, cosa fare per possederlo”. La presenza di Gesù “trasforma l’esistenza e ci rende aperti alle esigenze dei fratelli; una presenza che invita ad accogliere ogni altra presenza, anche quella dello straniero e dell’immigrato. E’ una presenza accogliente, è una presenza gioiosa, è una presenza feconda. Così è il regno dentro di noi”.
Per ognuno fedele l’incontro con Lui è diverso, c’è chi lo desidera, c’è chi lo scopre all’improvviso, ma sempre “è Lui che ci cerca e si fa trovare anche da chi non lo cerca”, in luoghi insoliti e in tempi inattesi: “Gesù è fra noi, Lui è qui oggi. L’ha detto Lui: ‘Quando voi siete riuniti nel mio nome, io sono fra voi’. Il Signore è qui, è con noi, è in mezzo a noi!”. Allora si lascia con gioia il consueto modo di vivere “per abbracciare il Vangelo, per lasciarci guidare dalla logica nuova dell’amore e del servizio umile e disinteressato”. Di qui l’invito: “quanti di voi, ogni giorno, leggono un brano del Vangelo? Ma quanti di voi, forse, si affrettano a fare il lavoro per non perdere la telenovela… Avere il Vangelo tra le mani, avere il Vangelo sul comodino, avere il Vangelo nella borsa, avere il Vangelo in tasca e poi aprirlo per leggere la Parola di Gesù: così il regno di Dio viene. Il contatto con la Parola di Gesù ci avvicina al regno di Dio. Pensate bene: un Vangelo piccolo sempre a portata di mano, si apre in un punto a caso e si legge cosa dice Gesù, e Gesù è lì”. Per possedere il Regno di Dio, però, occorre mettere Lui al primo posto: “dare il primato a Dio significa avere il coraggio di dire no al male, no alla violenza, no alle sopraffazioni, per vivere una vita di servizio agli altri e in favore della legalità e del bene comune”.
Quando una persona scopre Dio, quindi, “abbandona uno stile di vita egoistico e cerca di condividere con gli altri la carità che viene da Dio”. Chi diventa amico di Dio, ama i fratelli, si impegna a salvaguardare la loro vita e la loro salute anche rispettando l’ambiente e la natura, toccando un aspetto molto doloroso della vita di questa terra: “Io so che voi soffrite per queste cose. Oggi, quando sono arrivato, uno di voi si è avvicinato e mi ha detto: ‘Padre, ci dia la speranza’. Ma io non posso darvi la speranza, io posso dirvi che dove è Gesù lì è la speranza; dove è Gesù si amano i fratelli, ci si impegna a salvaguardare la loro vita e la loro salute, anche rispettando l’ambiente e la natura. Questa è la speranza che non delude mai, quella che dà Gesù!”.
La vostra terra richiede di essere tutelata e preservata: “…richiede di avere il coraggio di dire no ad ogni forma di corruzione e di illegalità – tutti sappiamo il nome di queste forme di corruzione e di illegalità – richiede a tutti di essere servitori della verità e di assumere in ogni situazione lo stile di vita evangelico, che si manifesta nel dono di sé e nell’attenzione al povero e all’escluso. Attendere al povero e all’escluso! La Bibbia è piena di queste esortazioni. Il Signore dice: voi fate questo e quest’altro, a me non importa, a me importa che l’orfano sia curato, che la vedova sia curata, che l’escluso sia accolto, che il Creato sia custodito. Questo è il regno di Dio!”.
In precedenza, incontrando i sacerdoti, in un dialogo intenso, in un clima di grande familiarità, in cui ha risposto alle domande dei preti. Ha così tracciato l’identikit del prete del Terzo millennio, caratterizzandosi innanzitutto nella creatività e nella preghiera: “se noi vogliamo essere creativi nello Spirito, cioè nello Spirito del Signore Gesù – non c’è altra strada che la preghiera. Un Vescovo che non prega, un prete che non prega ha chiuso la porta, ha chiuso la strada della creatività”.
Di qui l’esempio del beato Rosmini che “è stato proprio un critico creativo, perché pregava. Ha scritto ciò che lo Spirito gli ha fatto sentire, per questo è andato nel carcere spirituale, cioè a casa sua: non poteva parlare, non poteva insegnare, non poteva scrivere, i suoi libri erano all’indice. Oggi è Beato! Tante volte la creatività ti porta alla croce”. La preghiera poi apre a Dio e al prossimo: “Non bisogna essere una Chiesa chiusa in sé, che si guarda l’ombelico, una Chiesa autoreferenziale, che guarda se stessa e non è capace di trascendere”. Occorre uscire da sé per essere vicini agli altri, senza spaventarsi di niente. “L’uomo di Dio non si spaventa”. E la vicinanza significa dialogo. “Il dialogo è tanto importante, ma per dialogare sono necessarie due cose: la propria identità come punto di partenza e l’empatia con gli altri”. Ha poi esortato a “non avere paura di dialogare con nessuno” e senza l’intenzione di “fare proselitismo” perché “il proselitismo è una trappola”, e, come ha detto Benedetto XVI, “la Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione”. Poi ha ricordato che il sacerdote diocesano deve essere “un contemplativo”, anche se in modo diverso da come è un monaco: “deve avere una contemplatività, una capacità di contemplazione sia verso Dio sia verso gli uomini. E’ un uomo che guarda, che riempie i suoi occhi e il suo cuore di questa contemplazione: con il Vangelo davanti a Dio, e con i problemi umani davanti agli uomini”.  Fondamentale è poi il rapporto del sacerdote con il suo vescovo e con gli altri sacerdoti del presbiterio. “Non c’è spiritualità del prete diocesano senza questi due rapporti”.
Parlando sulla pietà popolare, ha ricordato che, per quanto alcune volte debba essere evangelizzata, “è una forza enorme”. Nei Santuari “si vedono miracoli” e “la religiosità popolare è uno strumento di evangelizzazione”. Riandando alla sua esperienza a Buenos Aires, ha aggiunto: “i giovani davvero vogliono questo protagonismo missionario e imparano da qui a vivere una forma di pietà che si può anche dire pietà popolare: l’apostolato missionario dei giovani ha qualcosa della pietà popolare. La pietà popolare è attiva, è un senso di fede – dice Paolo VI – profondo, che soltanto i semplici e gli umili sono capaci di avere. E questo è grande!”.
All’Angelus di domenica 27 luglio il Papa ha ricordato lo scoppio della Prima guerra mondiale (28 luglio 1914), quella “inutile strage” (come la definì Benedetto XV) che “causò milioni di vittime e immense distruzioni” e “sfociò, dopo quattro lunghi anni, in una pace risultata più fragile.” Di qui l’auspicio “che non si ripetano gli sbagli del passato, ma si tengano presenti le lezioni della storia, facendo sempre prevalere le ragioni della pace mediante un dialogo paziente e coraggioso”.
Pensando in particolare, “a tre aree di crisi: quella mediorientale, quella irachena e quella ucraina” ha inviato a pregare ed ha incoraggiato le parti interessate a “portare avanti con determinazione il cammino della pace, affrontando ogni diatriba con la tenacia del dialogo e del negoziato e con la forza della riconciliazione”. Infatti “tutto si perde con la guerra e nulla si perde con la pace. Fratelli e sorelle, mai la guerra! Mai la guerra!”. Poi un pensiero accorato ai bambini, “ai quali si toglie la speranza di una vita degna, di un futuro” con l’accorato appello: “fermatevi, per favore! Ve lo chiedo con tutto il cuore. E’ l’ora di fermarsi! Fermatevi, per favore!”
Fermandosi poi sul Vangelo domenicale, attraverso alle parabole del tesoro e della perla ha ricordato che ci parlano di Cristo e “chi conosce Gesù, chi lo incontra personalmente, rimane affascinato, attratto da tanta bontà, tanta verità, tanta bellezza, e tutto in una grande umiltà e semplicità. Cercare Gesù, incontrare Gesù: questo è il grande tesoro”. E’ “il Vangelo ti fa conoscere Gesù vero, vivo; ti parla al cuore e ti cambia la vita; (…) puoi cambiare effettivamente tipo di vita, oppure continuare a fare quello che facevi prima ma tu sei un altro, sei rinato: hai trovato ciò che dà senso, sapore, luce a tutto, anche alle fatiche, anche alle sofferenze, anche alla morte”. Tutto acquista senso quando si trova questo tesoro, che Gesù chiama “il Regno di Dio”. E’ “questo è ciò che Dio vuole, è ciò per cui Gesù ha donato sé stesso fino a morire su una croce, per liberarci dal potere delle tenebre e trasferirci nel regno della vita”.
Il Papa poi lunedì 28 luglio è tornato a Caserta, per trovare il pastore Giovanni Traettino, suo amico dai tempi di Buenos Aires e come lui impegnato da tanti anni per l’ecumenismo, e la comunità evangelica pentecostale. Il Pontefice ha parlato della diversità che non è divisione e ha ricordato chi fa l’unità nella Chiesa: “lo Spirito Santo fa la diversità nella Chiesa e questa diversità è tanto ricca, tanto bella; ma poi, dopo, lo stesso Spirito Santo fa l’unità. E così la Chiesa è una nella diversità. E per usare una parola bella di un evangelico, che io amo tanto: una diversità riconciliata dallo Spirito Santo”. L’unità non è uniformità, perché “lo Spirito Santo fa due cose: fa le diversità dei carismi e poi fa l’armonia dei carismi”: l’ecumenismo è proprio cercare che “questa diversità sia più armonizzata dallo Spirito Santo e divenga unità”. Papa Francesco ha poi chiesto perdono, come pastore dei cattolici, per le leggi emanate nel passato contro i protestanti, in quanto furono sostenute anche da cattolici.
Gian Paolo Cassano

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