LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO
a cura di Gian Paolo Cassano
La liturgia, “partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta al Padre nello Spirito Santo”, una delle fonti privilegiate della preghiera cristiana: su questa tema ha riflettuto Benedetto XVI nell’udienza generale di mercoledì 3 ottobre.
In essa “ogni preghiera cristiana trova la sua sorgente e il suo termine”. Ora “la preghiera è la relazione vivente dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo. Quindi la vita di preghiera consiste nell’essere abitualmente alla presenza di Dio e averne coscienza, nel vivere in relazione con Dio come si vivono i rapporti abituali della nostra vita, quelli con i familiari più cari, con i veri amici; anzi quella con il Signore è la relazione che dona luce a tutte le nostre altre relazioni”.
Pregare per un cristiano vuol dire “guardare costantemente e in maniera sempre nuova a Cristo …. parlare con Lui, stare in silenzio con Lui, ascoltarlo, agire e soffrire con Lui”. Così il credente “riscopre la sua vera identità in Cristo”. Pregare significa “elevarsi all’altezza di Dio” e partecipando alla liturgia, “facciamo nostra la lingua madre della Chiesa” seppure “in modo graduale, poco a poco.”
Per questo bisogna imparare, bisogna crescere nella preghiera “rivolgendomi a Dio come Padre e pregando-con-altri, pregando con la Chiesa, accettando il dono delle sue parole, che mi diventano poco a poco familiari e ricche di senso”.
Poiché “non si può pregare Dio in modo individualista”, la liturgia ci aiuta ad entrare “nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre”. Essa “è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del cielo aperto. Non è mai solamente l’evento di una comunità singola, con una sua collocazione nel tempo e nello spazio. E’ importante che ogni cristiano si senta e sia realmente inserito in questo ‘noi’ universale, che fornisce il fondamento e il rifugio all’’io’, nel Corpo di Cristo che è la Chiesa”.
Giovedì 4 ottobre poi il Papa è andato come pellegrino a Loreto in occasione dei 50 anni del viaggio nella città marchigiana di Giovanni XXIII e per raccomandare alla Vergine il Sinodo sulla nuova evangelizzazione e l’Anno della Fede.
Qui ha ribadito che “senza Dio l’uomo finisce per far prevalere il proprio egoismo sulla solidarietà e sull’amore, le cose materiali sui valori, l’avere sull’essere” e che “bisogna ritornare a Dio perché l’uomo torni ad essere uomo. Con Dio anche nei momenti difficili, di crisi, non viene meno l’orizzonte della speranza: l’Incarnazione ci dice che non siamo mai soli, Dio è entrato nella nostra umanità e ci accompagna”.
Ed è la fede a determinare una svolta nella vita, anche se a volte “abbiamo paura che la presenza del Signore possa essere un limite alla nostra libertà”: essendo “proprio Dio che libera la nostra libertà”, diventiamo capaci “di aprirsi alla dimensione che la realizza in senso pieno: quella del dono di sé, dell’amore, che si fa servizio e condivisione”.
Domenica 7 ottobre, con l’Eucaristia in piazza san Pietro, concelebrata dai Padri sinodali ha dato inizio al XIII Sinodo generale ordinario, dedicato al tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, in programma in Vaticano fino al 28 ottobre.
“La Chiesa esiste per evangelizzare”: infatti “l’evangelizzazione, in ogni tempo e luogo, ha sempre come punto centrale e terminale Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio; e il Crocifisso è per eccellenza il segno distintivo di chi annuncia il Vangelo: segno di amore e di pace, appello alla conversione e alla riconciliazione”.
La nuova evangelizzazione si rivolge principalmente a quei battezzati che si sono allontanati dalla Chiesa e “vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana” ed il Sinodo dei Vescovi riflette su ciò “per favorire in queste persone un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale”.
In questa occasione Benedetto XVI ha proclamato due nuovi Dottori della Chiesa: lo spagnolo San Giovanni d’Avila, vissuto nel XVI secolo, “uomo di Dio che univa la preghiera costante all’azione apostolica”, e la tedesca Santa Ildegarda di Bingen, del XII secolo, “donna di vivace intelligenza”, capace di “discernere i segni dei tempi”.
Questi e tutti i Santi sono “i veri protagonisti dell’evangelizzazione” ed anche “i pionieri ed i trascinatori della nuova evangelizzazione”. Infatti “la santità non conosce barriere culturali, sociali, politiche, religiose. Il suo linguaggio – quello dell’amore e della verità – è comprensibile per tutti gli uomini di buona volontà e li avvicina a Gesù Cristo, fonte inesauribile di vita nuova”.
Così “lo sguardo sull’ideale della vita cristiana, espresso nella chiamata alla santità, ci spinge a guardare con umiltà la fragilità di tanti cristiani, anzi il loro peccato, personale e comunitario, che rappresenta un grande ostacolo all’evangelizzazione, e a riconoscere la forza di Dio che, nella fede, incontra la debolezza umana. Pertanto, non si può parlare della nuova evangelizzazione senza una disposizione sincera di conversione”. Il Papa ha poi ricordato il Beato Giovanni Paolo II, il cui lungo Pontificato è stato “esempio di nuova evangelizzazione”.
All’Angelus, poi, Benedetto XVI, pensando alla Supplica alla Vergine Maria nel Santuario di Pompei (nella ricorrenza della Madonna del Rosario) ha invitato i fedeli a “valorizzare la preghiera del Rosario nel prossimo Anno della Fede. Con il Rosario, infatti, ci lasciamo guidare da Maria, modello di fede, nella meditazione dei misteri di Cristo, e giorno dopo giorno siamo aiutati ad assimilare il Vangelo, così che dia forma a tutta la nostra vita”.
Gian Paolo Cassano
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