LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO
a cura di Gian Paolo Cassano
Lo Spirito Santo “il grande maestro della preghiera”; su questo tema si è soffermato il Papa nell’udienza generale di mercoledì 23 maggio. “Lo Spirito Santo è il dono prezioso e necessario che ci rende figli di Dio, che realizza quella adozione filiale a cui sono chiamati tutti gli esseri umani (…) Il cristianesimo non è una religione della paura, ma della fiducia e dell’amore al Padre che ci ama”.
E’ Lui che apre le porte dell’anima dell’uomo e lo aiuta a comprendere. “Forse l’uomo d’oggi – ha aggiunto Benedetto XVI – non percepisce la bellezza, la grandezza e la consolazione profonda contenute nella parola ‘padre’ con cui possiamo rivolgerci a Dio nella preghiera, perché la figura paterna spesso oggi non è sufficientemente presente, anche spesso non è sufficientemente positiva nella vita quotidiana. L’assenza del padre, il problema di un padre non presente nella vita del bambino è un grande problema del nostro tempo, perciò diventa difficile capire nella sua profondità che cosa vuol dire che Dio è Padre per noi”.
Invece, ha osservato Benedetto XVI citando San Paolo, il cristiano non ha ricevuto uno spirito da schiavo. Può rivolgersi a Dio con la “fiducia” dei bambini, con quella “relazione filiale analoga a quella di Gesù”. Ma per farlo è necessario che sia lo Spirito Santo a insegnargli come parlare, Lui che “è il grande maestro della preghiera”.
Lo Spirito è modello per il nostro rapporto con Dio poiché “è l’Amore, e anche noi, nella nostra preghiera di figli, entriamo in questo circuito di amore, amore di Dio che purifica i nostri desideri …” Possiamo così comprendere la “paternità di Dio”, in “due dimensioni”: quella per cui ogni uomo e ogni donna “è un miracolo” di Dio in quanto Creatore, e quella per cui Dio ci ha creati a sua immagine.
“Certo il nostro essere figli di Dio non ha la pienezza di Gesù: noi dobbiamo diventarlo sempre di più, lungo il cammino di tutta la nostra esistenza cristiana, crescendo nella sequela di Cristo, nella comunione con Lui per entrare sempre più intimamente nella relazione di amore con Dio Padre, che sostiene la nostra vita”.
Ora non esiste preghiera dell’uomo a Dio se non è lo Spirito a invocare Dio per bocca dell’uomo. “Quando ci rivolgiamo al Padre nella nostra stanza interiore, nel silenzio e nel raccoglimento, non siamo mai soli. Chi parla con Dio non è solo. Siamo nella grande preghiera della Chiesa, siamo parte di una grande sinfonia che la comunità cristiana sparsa in ogni parte della terra e in ogni tempo eleva a Dio (…) Ogni volta, allora, che gridiamo e diciamo: ‘Abbà! Padre!’ è la Chiesa, tutta la comunione degli uomini in preghiera che sostiene la nostra invocazione e la nostra invocazione è invocazione della Chiesa”.
Domenica 27 giugno, celebrando l’Eucaristia in San Pietro, ha parlato della Pentecoste come “la festa dell’unione, della comprensione e della comunione umana”; commentando l’attualità ha intravisto nell’oggi “la stessa esperienza di Babele” laddove “gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare” di potersi mettere “al posto di Dio”, correndo “il pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme”.
Se oggi “abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie”, non “possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci”, anzi forse, “ci capiamo sempre meno.”
L’unità è possibile “solo con il dono dello Spirito di Dio” che dà “un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare”, è “un fuoco d’amore, capace di trasformare”.
Così “a Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione” e la Chiesa, grazie allo Spirito, è diventata “il luogo dell’unità e della comunione nella Verità”. Perciò “agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io»”, ma “incontrarsi” e “accogliersi a vicenda”, diventando “capaci di ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore”.
Al Regina Coeli il Papa ha ricordato la forza dello Spirito Santo che “irrompendo nella storia, ne sconfigge l’aridità, apre i cuori alla speranza, stimola e favorisce in noi la maturazione interiore nel rapporto con Dio e con il prossimo. Lo Spirito, che «ha parlato per mezzo dei profeti», con i doni della sapienza e della scienza continua ad ispirare donne e uomini che si impegnano nella ricerca della verità, proponendo vie originali di conoscenza e di approfondimento del mistero di Dio, dell’uomo e del mondo”.
Ha quindi annunciato che il prossimo 7 ottobre, San Giovanni d’Avila e Santa Ildegarda di Bingen saranno proclamati Dottori della Chiesa universale. “Ildegarda fu monaca benedettina nel cuore del Medioevo tedesco, autentica maestra di teologia e profonda studiosa delle scienze naturali e della musica. Giovanni, sacerdote diocesano negli anni del rinascimento spagnolo, partecipò al travaglio del rinnovamento culturale e religioso della Chiesa e della compagine sociale agli albori della modernità. Ma la santità della vita e la profondità della dottrina li rendono perennemente attuali: la grazia dello Spirito Santo, infatti, li proiettò in quell’esperienza di penetrante comprensione della rivelazione divina e di intelligente dialogo con il mondo che costituiscono l’orizzonte permanente della vita e dell’azione della Chiesa”.
Gian Paolo Cassano
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