La bellezza nella Parola

“Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.” (Lc 23,13-25)

Anche se l’evangelista non si sofferma al momento della flagellazione, lo colgo come emblematico della sofferenza e della passione del Signore, nella splendida interpretazione che ne dà il grande Caravaggio, una delle opere più significative della sua maturità artistica, realizzata tra il 1607 ed il 1608 e conservata a Napoli nel Museo Nazionale di Capodimonte.

Il dipinto è organizzato intorno alla colonna a cui è legato Gesù, attorno a cui ci sono due dei torturatori, uno al lato destro ed uno dietro alla colonna, i cui gesti precisi e lenti ci proiettano nello sfondo del quadro e verso il primo piano, dove si trova il terzo degli aguzzini, chino per preparare il flagello. Il corpo luminoso e robusto di Cristo, dal cui capo rivestito dalla corona di spine sgorgano tre gocce di sangue, sembra accennare a un movimento danzante che riecheggia la pittura manierista e che contrasta con i movimenti strozzati e secchi nella concentrazione dei suoi aguzzini.

Qui carnefici appaiono consapevoli della brutalità e crudeltà dell’atto che stanno commettendo, partecipando attivamente all’azione vestiti con abiti contemporanei al Merisi e non con quelli classici dei soldati romani. E’ un nuovo modo di fare pittura, una rappresentazione non convenzionale della realtà umana e naturale, in cui l’artista blocca sulla tela, tra contrasti netti e laceranti di luci e ombre, frammenti, o meglio, brandelli di corpi in movimento colti nel momento di più alta e sconvolgente tensione non solo fisica, quanto soprattutto psichica, emotiva e sentimentale. I corpi vengono fuori dall’ombra e i tratti fisici vengono definiti dalla luce quasi accecante sottolineando con grande drammaticità l’evento che il dipinto racconta.