La bellezza nella Parola

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il Sole si oscurerà, la Luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli Angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della Terra fino all’estremità del cielo. (…) Il cielo e la Terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.  Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli Angeli nel Cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13, 24-27. 31-32).

La scena evangelica richiama la dimensione escatologica in seguito alla venuta trionfale del Signore, e tanto potrà essa esser meditata da un’ottica di giubilo e speranza, come di terrore e orrore.

La colgo nella preziosa miniatura di Cristoforo de Predis tratta dalle “Storie di San Gioachino, Sant’Anna, di Maria Vergine, di Gesù, del Battista e della fine del mondo”, che il grande miniaturista lombardo del XV secolo realizzò nel 1476 ed ora conservata presso la Biblioteca Reale di Torino. Egli fu il più illustre esponente di una nota famiglia di artisti meneghini, passando alla storia come uno dei più importanti miniaturisti italiani; nacque sordomuto, una condizione di cui l’artista non si vergognò mai, ma che anzi ci tenne a sottolineare in diverse occasioni.

Protagonista è contestualmente il deserto con il silenzio: un paesaggio brullo, privo di vita, che preannuncia il termine stesso del mondo, della vita. Tutto è essenzializzato in linee poco più che orizzontali, dove si perdono le differenze tra un paesaggio e l’altro: un presumibile sole con la luna sono rosso fuoco a voler indicare quasi la cancellazione della terra e della vita, mentre da un cielo bluastro simbolicamente stelle indefinite, simili per modo di raffigurazione, cadono verso la terra. Non vi è relazione tra le dimensioni: le stelle sono tutte uguali, lontane e vicine e la lora caduta appare più che altro come segno di relazione tra terra e cielo. Identico è il modo in cui infatti vengono rappresentate, senza differenze di luminosità o di forma tra quella nell’azzurro celeste e quelle sulla terra brulla. L’idea della caduta è comprensibile attraverso i filamenti di luce che caratterizzano alcune di esse: non si tratta infatti di comete, poiché la scia è irregolare, spesso a zig zag. La mancanza di contorni che delimitano la miniatura lascia immaginare un paesaggio identico anche al “di fuori” dall’immagine che appare così complessivamente simbolica e terrificante, pur nella sua correlazione divina. Il cielo infatti mantiene il color blu (attributo del divino). Le nubi sono quasi assenti né vi sono segni catastrofici se non l’assoluta assenza della vita.