“Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».” (Mc 12,41-44)
Colgo l’episodio nell’opera di un artista contemporaneo James Christensen del suo dipinto «L’obolo della vedova», realizzato nel 1988 Il pittore ed illustratore californiano sceglie di «scrivere» il brano evangelico: “La parabola dell’obolo della vedova – dice – non è una storia di denaro, ma di pietà. Riguarda ciò che siamo disposti a dare di noi stessi.” Nell’opera la vedova è al centro, in piedi, che prende completamente la scena; è una giovane donna che ci guarda e ci viene incontro mentre mostra sulla mano “un soldo”, la moneta romana (quadrans) più piccola corrispondente alle “due monetine” in circolazione nel mondo greco, prima di lasciarla nella cesta collocata nell’angolo del cortile accessibile ai soli Ebrei, interno al Tempio di cui si vede in fondo a sinistra una grande porta. La mano aperta della donna dice della sua sincerità in netto contrasto con le mani di coloro che attorno a lei – sulla destra e sulla sinistra – ostentano il sostenere e il trattenere sacchetti chiusi e pieni di monete e di preziosità. Dalla foggia degli abiti sfarzosi sembrano rappresentare le persone desiderose di mettere in mostra la loro generosità, ricercando i primi posti …
Nella vedova dagli abiti logori e consunti Christensen evidenzia lo sguardo nitido e consapevole in un volto luminoso che si espande anche sui vestiti a fronte degli altri tre sguardi beffardi e canzonatori raffigurati in penombra e in secondo piano. È la luce interiore di chi agisce rettamente e per amore. Dio valuta non la quantità ma la qualità delle scelte e, di conseguenza, si serve di altri criteri per qualificare ciò che veramente ha valore laddove, di solito, il pensare comune squalifica, sottovaluta o ritiene insignificante.