La bellezza nella Parola

“Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».” (Mc 9,33-37)

A cogliere l’insegnamento del Signore propongo la lettura dell’opera di Artemisia Gentileschi, una delle poche pittrici nel Seicento che emerge per la sua bravura tra le più brave e ammirate artiste del XVII secolo, capace di assorbire la lezione dei maestri classici come dei suoi contemporanei e riversare sulle sue tele passione, vigore e poesia allo stesso tempo.

Nel quadro (databile  al 1625, nella Chiesa romana dei S.S Ambrogio e Carlo al Corso) emerge grandiosa la figura di Gesù, mentre tocca la fronte di un bambino con la mano destra, mentre con l’altra indica il cielo; non ci sono altri personaggi, né madri né apostoli, quasi a rimarcare una sorta di rapporto di Cristo con lo spettatore a cui si rivolge per un coinvolgimento, per stimolarlo ad una riflessione personale sul significato di quanto appare, cioè che l’infanzia è degna del regno dei cieli se toccata dalla grazia di Dio, nel nostro caso dal battesimo.

Gesù è ritratto con i classici colori iconografici in riferimento alle due nature (umana e divina) con molta delicatezza, sullo sfondo di un cielo attraversato dalle nubi e di un paesaggio in lontananza.

Il Sinite Parvulos fu commissionato nel 1625 ad Artemisia Gentileschi dal Duca di Alcalà, Fernando Enriquez Afan de Rivera, per decorare l’Apostolato di Santa Maria della Cuevas a Siviglia, insieme a dodici quadri raffiguranti gli Apostoli, commissionati ai migliori artisti dell’epoca. Dopo le invasioni napoleoniche dell’Andalusia, il dipinto viene trasferito in Inghilterra e decenni dopo è acquisito dal Metropolitan Museum of Art di New York con una diversa attribuzione. Rimasto in deposito per lungo tempo, viene messo nuovamente sul mercato e venduto ad un collezionista privato che qualche anno dopo lo dona all’Arciconfraternita dei SS. Ambrogio e Carlo.