LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

Il Papa ha dedicato (come sempre dopo ogni viaggio apostolico) l’udienza generale di mercoledì 22 settembre a ripercorrere le tappe principali del suo viaggio apostolico a Budapest e in Slovacchia, “un pellegrinaggio di preghiera, alle radici della fede e di speranza.” Tre parole riassuntive degli incontri con le diverse Chiese cristiane, con gli ebrei, con credenti di altre fedi, con i più deboli. Egli ha sottolineato la grande partecipazione del “popolo santo di Dio” alla Messa conclusiva a Budapest del 52° Congresso Eucaristico Internazionale, riunito davanti al mistero dell’Eucaristia e della Croce entrambi segni della via “dell’amore umile e disinteressato, dell’amore generoso e rispettoso verso tutti, della fede che purifica dalla mondanità e conduce all’essenzialità”. Così come in Slovacchia a Šaštín, presso il Santuario della Vergine dei Sette Dolori. Infatti “a questo è chiamato anzitutto il Popolo di Dio: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza, e in questo sentire la pace, la gioia che ci dà il Signore. La vita nostra deve essere così: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza. E ciò ha una particolare importanza nel continente europeo, dove la presenza di Dio viene annacquata – lo vediamo tutti i giorni – dal consumismo e dai ‘vapori’ di un pensiero unico – una cosa strana ma reale – frutto del miscuglio di vecchie e nuove ideologie. E questo ci allontana dalla famigliarità con il Signore. Anche in tale contesto, la risposta che risana viene dalla preghiera, dalla testimonianza, dall’amore umile. L’amore umile che serve. Riprendiamo questa idea: il cristiano è per servire.” Francesco ha quindi ricordato la persecuzione di quel popolo a causa dei regimi ateisti e l’incontro con la comunità ebraica con cui si è rievocata la Shoah.
Il secondo aspetto sottolineato è il “ricordo grato” delle “radici di fede e di vita cristiana” (a partire dai S.S. Cirillo e Metodio, protagonisti nel nono secolo della prima evangelizzazione dei popoli slavi), particolarmente significativo in queste terre nel cuore dell’Europa, con alcuni testimoni luminosi quali i cardinali Mindszenty e Korec e il beato vescovo Pavel Peter Gojdič. “Queste radici sono sempre vive, piene della linfa vitale che è lo Spirito Santo, e che come tali devono essere custodite: non come reperti da museo, non ideologizzate e strumentalizzate per interessi di prestigio e di potere, per consolidare un’identità chiusa.” Essi sono “modelli da imitare, maestri da cui sempre imparare lo spirito e il metodo dell’evangelizzazione, come pure dell’impegno civile.” Spesso Francesco durante questo viaggio nel cuore dell’Europa ha pensato “ai padri dell’Unione europea come l’hanno sognata, non come agenzia per distribuire le colonizzazioni ideologiche della moda, no. Come l’hanno sognata loro.” Dalle radici (a cui nessuno deve rinunciare), così vissute, “germogliano folti rami di speranza” per il futuro.
La speranza è la terza parola che il Papa ha usato per raccontare il suo viaggio, quella che ha visto negli occhi dei giovani, “nell’indimenticabile incontro allo stadio di Košice”, dove erano presenti numerose coppie giovani coi loro bambini.“Come forte e profetica è la testimonianza della Beata Anna Kolesárová, ragazza slovacca che a costo della vita difese la propria dignità contro la violenza: una testimonianza più che mai attuale, purtroppo, perché la violenza sulle donne è una piaga aperta, dappertutto. Ho visto speranza in tante persone che, silenziosamente, si occupano e si preoccupano del prossimo.” Ha così ricordato le suore Missionarie della Carità del Centro Betlemme a Bratislava che accolgono persone senzatetto e l’impegno pastorale dei salesiani in mezzo alla comunità Rom (“sono dei fratelli nostri: dobbiamo accoglierli, dobbiamo essere vicini”) incontrata alla periferia di Košice.
Ha poi aggiunto un’altra parole, “insieme”, una parola che sottolinea rievocando ancora l’esperienza fatta durante il recente viaggio: “ci siamo trovati insieme con i diversi riti della Chiesa Cattolica, insieme con i fratelli di altre Confessioni cristiane, insieme con i fratelli Ebrei, insieme con i credenti di altre religioni, insieme con i più deboli. Questa è la strada, perché il futuro sarà di speranza se sarà insieme.”
All’Angelus domenica 26 settembre il Papa ha ricordato che l’atteggiamento della chiusura è la radice di “tanti mali della storia”. Ha fatto memoria della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, esprimendo vicinanza alla popolazione di La Palma, nelle Canarie, provata dall’eruzione del vulcano. Egli si è concentrato su due parole: tentazione ed esortazione. La tentazione è quella della chiusura, come quella dei discepoli che pensano “di avere ‘l’esclusiva su Gesù’ e di essere gli unici autorizzati a lavorare per il Regno di Dio. Ma così finiscono per sentirsi prediletti e considerano gli altri come estranei, fino a diventare ostili nei loro confronti.” Ora ogni chiusura “fa tenere a distanza chi non la pensa come noi. Questo – lo sappiamo – è la radice di tanti mali della storia: dell’assolutismo che spesso ha generato dittature e di tante violenze nei confronti di chi è diverso.” Impedire “un’opera di bene solo perché chi l’ha compiuta non apparteneva al loro gruppo” è una tentazione che porta a sentire i discepoli “gli unici autorizzati a lavorare per il Regno di Dio”, finendo “per sentirsi prediletti e considerano gli altri come estranei, fino a diventare ostili nei loro confronti”. Bisogna vigilare anche sulla chiusura nella Chiesa, per non sentirsi “i primi della classe” o esibire la “patente di credenti” per giudicare ed escludere, ma camminare insieme per essere “comunità umili e aperte”. Occorre chiedere “la grazia di superare la tentazione di giudicare e di catalogare, e che Dio ci preservi dalla mentalità del ‘nido’ (…), quella di custodirci gelosamente nel piccolo gruppo di chi si ritiene buono: il prete con i suoi fedelissimi, gli operatori pastorali chiusi tra di loro perché nessuno si infiltri, i movimenti e le associazioni nel proprio carisma particolare, e così via.” Così si “rischia di fare delle comunità cristiane dei luoghi di separazione e non di comunione. Lo Spirito Santo non vuole chiusure; vuole apertura, comunità accoglienti dove ci sia posto per tutti”.
C’è poi l’esortazione di Gesù: “invece di giudicare tutto e tutti, stiamo attenti a noi stessi! Infatti, il rischio è quello di essere inflessibili verso gli altri e indulgenti verso di noi.” Mai patti con il male, Gesù ci spinge ad essere netti: “se qualcosa in te è motivo di scandalo, taglialo!”
“Gesù è radicale in questo, esigente, ma per il nostro bene, come un bravo medico. Ogni taglio, ogni potatura, è per crescere meglio e portare frutto nell’amore. Chiediamoci allora: cosa c’è in me che contrasta col Vangelo? Che cosa, concretamente, Gesù vuole che io tagli nella mia vita?”

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