LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

Domenica 1 agosto, all’Angelus. il Papa ha ricordato che all’invito del Vangelo si deve rispondere con gratuità e senza calcoli. Francesco si è chiesto perché cerchiamo il Signore e quali sono le motivazioni della nostra fede e sottolineando che il Vangelo “ci insegna che non basta cercare Dio, bisogna anche chiedersi il motivo per cui lo si cerca”. Per questo “abbiamo bisogno di discernere”, di capire quali sono le motivazioni della nostra fede “perché tra le tante tentazioni ce n’è una che potremmo chiamare tentazione idolatrica” che “è quella che ci spinge a cercare Dio a nostro uso e consumo, per risolvere i problemi, per avere grazie a Lui quello che da soli non riusciamo a ottenere, per interesse”. Così “la fede rimane superficiale e anche (…) miracolistica: cerchiamo Dio per sfamarci e poi ci dimentichiamo di Lui quando siamo sazi. Al centro di questa fede immatura non c’è Dio, ci sono i nostri bisogni. Penso ai nostri interessi, tante cose… È giusto presentare al cuore di Dio le nostre necessità, ma il Signore, che agisce ben oltre le nostre attese, desidera vivere con noi anzitutto una relazione d’amore. E l’amore vero è disinteressato, è gratuito: non si ama per ricevere un favore in cambio! Questo è interesse; e tante volte nella vita noi siamo interessati.” Ora “per compiere le opere di Dio” (come chiede la folla a Gesù) occorre “accogliere Colui che il Padre ha mandato, cioè accogliere Lui stesso, Gesù. Non è aggiungere pratiche religiose o osservare speciali precetti; è accogliere Gesù, è accoglierlo nella vita, è vivere una storia d’amore con Gesù. Sarà Lui a purificare la nostra fede. Da soli non siamo in grado. Ma il Signore desidera con noi un rapporto d’amore: prima delle cose che riceviamo e facciamo, c’è Lui da amare.” C’è una relazione con Lui che va “oltre le logiche dell’interesse e del calcolo,” sia “nei riguardi di Dio”, come “nelle nostre relazioni umane e sociali”. Se “cerchiamo soprattutto il soddisfacimento dei nostri bisogni, rischiamo di usare le persone e di strumentalizzare le situazioni per i nostri scopi. (…) E una società che mette al centro gli interessi invece delle persone è una società che non genera vita. L’invito del Vangelo è questo: piuttosto che essere preoccupati soltanto del pane materiale che ci sfama, accogliamo Gesù come il pane della vita e, a partire dalla nostra amicizia con Lui, impariamo ad amarci tra di noi. Con gratuità e senza calcoli. Amore gratuito e senza calcoli, senza usare la gente, con gratuità, con generosità, con magnanimità.”
Dopo la pausa di luglio (coincisa con il ricovero in Policlinico Gemelli e l’operazione) mercoledì 4 agosto il Papa ha ripreso il ciclo delle Udienze generali tornando a riflettere sulla Lettera ai Galati sul tema: “il Vangelo è uno solo”. Nel brano commentato dal Pontefice, l’Apostolo Paolo vede nei Galati il rischio di deviare dalla verità accogliendo un Vangelo diverso, predicato da alcuni nuovi missionari. C’è un solo Vangelo: “per lui il Vangelo è ciò che lui predica, il kerygma, l’annuncio della morte e risurrezione di Gesù come fonte della salvezza. Un Vangelo che si esprime con quattro verbi: ‘Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Cefa’. Questo Vangelo è il compimento delle promesse ed è la salvezza offerta a tutti gli uomini.” Davanti a un dono così grande, Paolo non riesce a spiegarsi come mai i Galati stiano pensando di accogliere un altro “vangelo, forse più sofisticato, più intellettuale, non so, ma un altro vangelo”… Avverte che la nuova predicazione “non può essere il Vangelo. Anzi, è un annuncio che stravolge il vero Vangelo perché impedisce di raggiungere la libertà acquisita venendo alla fede”. E’ un punto su cui non ci possono essere “compromessi”, perché “il Vangelo è uno solo ed è quello che lui ha annunciato; un altro non può esistere.” Ora “Paolo non dice che il vero Vangelo è il suo perché è stato lui ad annunciarlo”, perché “sarebbe presuntuoso, sarebbe vanagloria. Afferma, piuttosto, che il ‘suo’ Vangelo, lo stesso che gli altri Apostoli andavano annunciando altrove, è l’unico autentico, perché è quello di Gesù Cristo.” Per questo l’apostolo utilizza termini molto duri sul rischio di compiere un passo falso: “per due volte usa l’espressione ‘anatema’, che indica l’esigenza di tenere lontano dalla comunità ciò che minaccia le sue fondamenta”. Su questo punto l’Apostolo “non lascia spazio alla trattativa” poiché “con la verità del Vangelo non si può negoziare, (….) non si può scendere a compromessi: la fede in Gesù non è merce da contrattare: è salvezza, è incontro, è redenzione. Non si vende a buon mercato.”
Francesco ha poi fatto notare che la comunità dei Galati era animata da buoni sentimenti, convinta che ascoltando i nuovi missionari potrà servire ancora meglio Gesù Cristo. “I nemici di Paolo sembrano essere animati dalla fedeltà alla tradizione ricevuta dai padri e ritengono che la fede genuina consista nell’osservanza della Legge”, fino a sospettare di Paolo ritenendolo “poco ortodosso nei confronti della tradizione”. La novità del Vangelo, però, è “radicale, non è una novità passeggera: non ci sono vangeli ‘alla moda’. Quella vissuta dai Galati è una situazione che si ripropone in ogni tempo per questo le parole dell’Apostolo sono utili anche a noi, oggi che dobbiamo saperci districare nel labirinto di buone intenzioni”. Per questo motivo “è importante saper discernere. Tante volte abbiamo visto nella Storia, e anche lo vediamo oggi, qualche movimento che predica il Vangelo con una modalità propria, alle volte con carismi veri, propri; ma poi esagera e riduce tutto il Vangelo al ‘movimento’. E questo non è il Vangelo di Cristo: questo è il Vangelo del fondatore, della fondatrice e questo sì, potrà aiutare all’inizio, ma alla fine non fa frutti con radice profonda. Per questo, la parola chiara e decisa di Paolo fu salutare per i Galati ed è salutare anche per noi. Il Vangelo è il dono di Cristo a noi, è Lui stesso a rivelarlo. E’ quello che ci dà vita”.
All’Angelus domenica 8 agosto il Papa ha sottolineato che a Dio interessa tutto della nostra vita, vuole intimità con noi, spiegando il brano evangelico domenicale. Gesù è “l’essenziale”, non è “un pane tra tanti altri, ma il pane della vita”. Ciò significa che “senza di Lui, più che vivere, vivacchiamo: perché solo Lui ci nutre l’anima, solo Lui ci perdona da quel male che da soli non riusciamo a superare, solo Lui ci fa sentire amati anche se tutti ci deludono, solo Lui ci dà la forza di amare, solo Lui ci dà la forza di perdonare nelle difficoltà, solo Lui dà al cuore quella pace di cui va in cerca, solo Lui dà la vita per sempre quando la vita quaggiù finisce. E’ il pane essenziale della vita.” La “bella immagine di Gesù” si spiega nell’Ultima Cena quando sa che dovrà dare sé stesso, “la propria vita, la propria carne, il proprio cuore perché noi possiamo avere la vita”. Sono parole che “risvegliano in noi lo stupore per il dono dell’Eucaristia. Nessuno in questo mondo, per quanto ami un’altra persona, può farsi cibo per lei. Dio lo ha fatto, e lo fa, per noi. Rinnoviamo questo stupore. Facciamolo adorando il Pane di vita, perché l’adorazione riempie la vita di stupore”. Ha poi ricordato che se allora la gente si scandalizzò alle parole di Gesù come pane di vita, anche noi oggi potremmo provare la stessa cosa perché “ci farebbe più comodo un Dio che sta in Cielo senza immischiarsi, mentre noi possiamo gestire le faccende di quaggiù”. Ora “Dio si è fatto uomo per entrare nella concretezza del mondo, per entrare nella nostra concretezza, (…) per me, per te, per tutti, per entrare nella nostra vita. E tutto della nostra vita gli interessa. Gli possiamo raccontare gli affetti, il lavoro, la giornata, ogni cosa. Gesù desidera questa intimità con noi. Che cosa non desidera? Essere relegato a contorno – Lui che è il pane –, essere trascurato e messo da parte, o chiamato in causa solo quando ne abbiamo bisogno.” Così il Pontefice ha auspicato di spezzare il pane insieme, in famiglia, al termine di una giornata di studio o lavoro, portando Gesù alla nostra mensa perché la possa benedire. “Invitiamolo a casa, preghiamo in stile ‘domestico’. Gesù sarà a mensa con noi e saremo sfamati da un amore più grande.”

Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.