All’Udienza generale di mercoledì 14 aprile il Papa ha messo in rilievo il legame essenziale che vi è fra la fede e la preghiera. Il Pontefice si è riferito non solo alla preghiera personale ma anche a quella “della gente alla quale chiediamo di pregare per noi”. Si pensi ai tanti gruppi dediti alla preghiera, alla vita della parrocchia scandita dai tempi della liturgia e dalla preghiera comunitaria, ai monasteri ed eremi dove vivono persone consacrate a Dio e “che spesso diventano centri di irradiazione spirituale”, delle “piccole oasi” in cui si costruisce anche la comunione fraterna, “cellule vitali non solo per il tessuto ecclesiale ma per la società stessa”. E’ il grande “ruolo che ha avuto il monachesimo per la nascita e la crescita della civiltà europea, e anche in altre culture”, perché “pregare e lavorare in comunità manda avanti il mondo”. Ora la Chiesa è chiamata a trasmettere “la lampada della fede con l’olio della preghiera” che la alimenta ed il suo compito è quello di “pregare e insegnare a pregare”. Infatti “la lampada della fede che illumina, sistema le cose davvero come sono, ma può andare avanti soltanto con l’olio della fede. Al contrario, si spegne. Senza la luce di questa lampada, non potremmo vedere la strada per evangelizzare, anzi, non potremmo vedere la strada per credere bene; non potremmo vedere i volti dei fratelli da avvicinare e da servire; non potremmo illuminare la stanza dove incontrarci in comunità… Senza la fede, tutto crolla; e senza la preghiera, la fede si spegne. Fede e preghiera, insieme. Non c’è un’altra via. Per questo la Chiesa, che è casa e scuola di comunione, è casa e scuola di fede e di preghiera” e in essa tutto “nasce nella preghiera, e tutto cresce grazie alla preghiera.” Essa “è quella che apre la porta allo Spirto Santo, che è quello che ispira per andare avanti. I cambiamenti nella Chiesa senza preghiera non sono cambiamenti di Chiesa, sono cambiamenti di gruppo. E quando il Nemico (…) vuole combattere la Chiesa, lo fa prima di tutto cercando di prosciugare le sue fonti, impedendole di pregare, e [inducendola a] fare queste altre proposte.”
Se cessa la preghiera “dopo poco tempo la Chiesa si accorge di essere diventata come un involucro vuoto, di aver smarrito l’asse portante, di non possedere più la sorgente del calore e dell’amore”. Il Signore (cfr. Lc 18,8), quando tornerà, troverà la fede o solo organizzazioni, imprenditori della fede ? Per questo è necessario pregare con perseveranza. Quindi “la lampada della vera fede della Chiesa sarà sempre accesa sulla terra finché ci sarà l’olio della preghiera”, che porta avanti la fede e la nostra “povera vita”, debole, peccatrice. Occorre allora pregare non “come dei pappagalli”, ma con il cuore, chiedendosi: “prego, sicuro che sono nella Chiesa e prego con la Chiesa o prego un po’ secondo le mie idee e faccio che le mie idee diventino preghiera? Questa è una preghiera pagana, non cristiana.” E’ poi la vita delle donne e degli uomini santi che testimonia la forza della preghiera: dall’orazione che attingono sempre dal “pozzo” inesauribile della madre Chiesa, alimentano la fiamma della fede. “I santi, che spesso agli occhi del mondo contano poco, in realtà sono quelli che lo sostengono, non con le armi del denaro e del potere, dei media di comunicazione – e così via -, ma con le armi della preghiera.”
Francesco ha poi richiamato l’esperienza di tanti cristiani, a cominciare da genitori e nonni sulle cui ginocchia spesso si impara a pregare. Questo grande “patrimonio” ricevuto nell’infanzia deve essere poi approfondito sempre di più nel cammino della crescita in cui incontriamo testimoni e maestri di preghiera che “fa bene” ricordare. “L’abito della fede non è inamidato, si sviluppa con noi, non è rigido, cresce, anche attraverso momenti di crisi e risurrezioni, anzi: non si può crescere senza momenti di crisi, perché la crisi ti fa crescere. È un modo necessario per crescere entrare in crisi. E il respiro della fede è la preghiera: cresciamo nella fede tanto quanto impariamo a pregare. Dopo certi passaggi della vita, ci accorgiamo che senza la fede non avremmo potuto farcela e che la preghiera è stata la nostra forza.”
Domenica 18 aprile, al Regina Coeli, il Papa ha ricordato che non esiste un cristianesimo a distanza. Tornando ad affacciarsi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico, si è soffermato su tre verbi, “guardare, toccare e mangiare” che mettono a riparo dalla tentazione del rifiuto, dell’isolamento, della tendenza a girare la faccia davanti alle difficoltà e alle sofferenze dell’altro.
“Guardare, toccare e mangiare sono le tre azioni che possono dare la gioia di un vero incontro con Gesù vivo”. Ora “guardare non è solo vedere, è di più, comporta anche l’intenzione, la volontà. Per questo è uno dei verbi dell’amore. La mamma e il papà guardano il loro bambino, gli innamorati si guardano a vicenda; il bravo medico guarda il paziente con attenzione… Guardare è un primo passo contro l’indifferenza, contro la tentazione di girare la faccia davanti alle difficoltà e alle sofferenze degli altri.”
Il secondo verbo è “toccare”. Gesù invita i discepoli a toccarlo, indicandoci che la relazione con Lui e con i fratelli “non può rimanere a distanza”, perché non c’è “un cristianesimo a distanza. L’amore chiede la vicinanza, il contatto, la condivisione della vita. Il buon samaritano non si è limitato a guardare quell’uomo che ha trovato mezzo morto lungo la strada: si è chinato, gli ha medicato le ferite, lo ha caricato sulla sua cavalcatura e l’ha portato alla locanda. E così con Gesù stesso: amarlo significa entrare in una comunione di vita, con Lui.”
Il mangiare, poi, esprime bene la nostra umanità nella sua più naturale indigenza, cioè nel bisogno fondamentale di nutrirsi che diventa anche essa espressione di amore, al punto, che “il Convito eucaristico è diventato il segno emblematico della comunità cristiana”. Da qui, l’esortazione a lasciarsi trasformare dall’amore di Cristo per poter amare e dunque guardare, toccare e nutrire gli altri come nostri fratelli e sorelle: “essere cristiani non è prima di tutto una dottrina o un ideale morale, è la relazione viva con Lui, con il Signore Risorto: lo guardiamo, lo tocchiamo, ci nutriamo di Lui e, trasformati dal suo Amore, guardiamo, tocchiamo e nutriamo gli altri come fratelli e sorelle.”
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