All’Udienza generale mercoledì 7 aprile il Papa ha parlato del legame tra la preghiera e la comunione dei santi, poiché la nostra preghiera non è mai solitaria ma ci lega una misteriosa solidarietà con coloro che ci hanno preceduto tramandandoci la fede. Francesco ha sottolineato l’intreccio tra esperienza personale e quella dell’umanità nelle preghiere della Bibbia: liberazioni, deportazioni, esilio, momenti di gioia, dolore … “Le preghiere rinascono sempre: ogni volta che congiungiamo le mani e apriamo il cuore a Dio, ci ritroviamo in una compagnia di santi anonimi e di santi riconosciuti che con noi pregano, e che per noi intercedono, come fratelli e sorelle maggiori transitati per la nostra stessa avventura umana. Nella Chiesa non c’è un lutto che resti solitario, non c’è lacrima che sia versata nell’oblio, perché tutto respira e partecipa di una grazia comune.” Il fatto che un tempo le sepolture fossero situate vicino alle chiese significa “che ad ogni Eucaristia partecipa in qualche modo la schiera di chi ci ha preceduto”. E’ una fede tramandata ed anche il modo di pregare. “I santi sono ancora qui non lontani da noi” e “sono testimoni che non adoriamo (…) ma che veneriamo e che in mille modi diversi ci rimandano a Gesù Cristo, unico Signore e Mediatore tra Dio e l’uomo.” Il santo ci rimanda a Gesù “perché lui ha percorso quella via di vivere come cristiano. I santi ci ricordano che anche nella nostra vita, pur debole e segnata dal peccato, può sbocciare la santità.” Il primo santo canonizzato, da Gesù stesso, è stato un ladro, il buon ladrone; per cui anche nell’ultimo momento della vita è possibile convertirsi: “la santità è un percorso di vita, di incontro con Gesù, sia lungo sia breve, sia in un istante”.
Il Catechismo della Chiesa cattolica spiega che i santi “contemplano Dio, lo lodano e non cessano di prendersi cura di coloro che hanno lasciato sulla terra. […] La loro intercessione è il più alto servizio che rendono al disegno di Dio. Possiamo e dobbiamo pregarli di intercedere per noi e per il mondo intero” (CCC, 2683). E’ “una misteriosa solidarietà” in Cristo tra noi e chi ci ha preceduto. E’ un legame di preghiera “fra noi e la gente che è arrivata” che “sperimentiamo già qui, nella vita terrena: preghiamo gli uni per gli altri, domandiamo e offriamo preghiere… Il primo modo di pregare per qualcuno è parlare a Dio di lui o di lei. Se facciamo questo frequentemente, ogni giorno, il nostro cuore non si chiude, rimane aperto ai fratelli. Pregare per gli altri è il primo modo di amarli e ci spinge alla vicinanza concreta.” Così “pregare per la persona con la quale io sono in conflitto” è “un modo di sciogliere il conflitto, di ammorbidirlo. (…) E qualcosa cambia con la preghiera. La prima cosa che cambia è il mio cuore, è il mio atteggiamento. Il Signore lo cambia per rendere possibile un incontro, un nuovo incontro ed evitare che il conflitto divenga una guerra senza fine.” Chiediamo “ai fratelli, ai santi soprattutto, che preghino per noi”, perché essi “non aspettano altro che di ‘darci una mano’ nella vita, di darci una mano per ottenere da Dio le grazie di cui abbiamo più bisogno.” Occorre ricordare che se siamo capaci di perseveranza, “forse tutto questo, più che ai nostri meriti, lo dobbiamo all’intercessione di tanti santi, alcuni in Cielo, altri pellegrini come noi sulla terra, che ci hanno protetto e accompagnato perché tutti sappiamo che qui sulla terra c’è gente santa, uomini e donne santi che vivono in santità.”
Sia benedetto il Salvatore del mondo per “questa immensa fioritura di santi e sante, che popolano la terra e che hanno fatto della propria vita una lode a Dio. Perché – come affermava San Basilio – «per lo Spirito il santo è una dimora particolarmente adatta, poiché si offre ad abitare con Dio ed è chiamato suo tempio.»”
Nella Domenica della Divina Misericordia 18 aprile, il Papa si è recato a celebrare l’Eucaristia nella chiesa di Santo Spirito in Sassia invitando i fedeli a non cedere all’indifferenza, ma a vivere la condivisione e a chinarsi sulle “ferite” di chi ha più bisogno. Nell’omelia ha parlato di quando i discepoli da “misericordiati, diventano misericordiosi”, evidenziando al riguardo tre doni: pace, Spirito e piaghe. Il primo, la pace, li fa passare dalla paura e angoscia di essere arrestati e fare la stessa fine del Signore, da loro abbandonato e rinnegato, alla riappacificazione con loro stessi: la pace di Gesù li fa passare dal rimorso alla missione. “Non è tranquillità, non è comodità, è uscire da sé. La pace di Gesù libera dalle chiusure che paralizzano, spezza le catene che tengono prigioniero il cuore. E i discepoli si sentono misericordiati: sentono che Dio non li condanna, non li umilia, ma crede in loro. Sì, crede in noi più di quanto noi crediamo in noi stessi.” Nessuno è sbagliato agli occhi di Dio, “nessuno è inutile, nessuno escluso”, perché ognuno è prezioso, importante e insostituibile ai suoi occhi.
Gesù poi offre ai discepoli il dono dello Spirito Santo, per la remissione dei peccati: abbiamo bisogno di aprire il nostro cuore per lasciarci perdonare: “chiediamo la grazia di accoglierlo, di abbracciare il Sacramento del perdono. E di capire che al centro della Confessione non ci siamo noi con i nostri peccati, ma Dio con la sua misericordia.” E’ una sacramento che non abbatte, ma risolleva: “è il Sacramento della risurrezione, è misericordia pura. E chi riceve le Confessioni deve far sentire la dolcezza della misericordia. E questa è la via di coloro che ricevono le confessioni della gente: far sentire la dolcezza della misericordia di Gesù che perdona tutto. Dio perdona tutto.”
Infine il terzo dono, “dopo la pace che riabilita e il perdono che risolleva”, Gesù offre “le piaghe” che guariscono con “la misericordia”. Come per Tommaso, in quelle ferite, si tocca “con mano che Dio ci ama fino in fondo”: sono “canali aperti tra Lui e noi, che riversano misericordia sulle nostre miserie”, attraverso le quali si entra “nella sua tenerezza”, senza dubitare più della sua misericordia e scoprendo che “ogni nostra debolezza è accolta nella sua tenerezza”. Questo è ciò che accade in ogni Messa, “dove Gesù ci offre il suo Corpo piagato e risorto: Lo tocchiamo e Lui tocca le nostre vite”. Da qui inizia il cammino cristiano: “solo se accogliamo l’amore di Dio potremo dare qualcosa di nuovo al mondo.” Così i discepoli misericordiati sono diventati misericordiosi; infatti nessuno di loro “considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”: questo “non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro. Ed è tanto più sorprendente se pensiamo che quegli stessi discepoli poco prima avevano litigato su premi e onori, su chi fosse il più grande tra di loro”. La condivisione diventa una conseguenza naturale dell’aver visto “nell’altro la stessa misericordia che ha trasformato la loro vita” e di aver scoperto di avere in comune “la missione, il perdono e il Corpo di Gesù”.
Al termine, al Regina Coeli, ha salutato i presenti, tra cui operatori sanitari e volontari, definendoli realtà “nelle quali la misericordia si fa concreta, si fa vicinanza, si fa servizio, attenzione alle persone in difficoltà”, augurando loro di sentirsi sempre “misericordiati per essere a vostra volta misericordiosi”.
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