Mercoledì 10 marzo, all’Udienza generale, ancora in diretta streaming della Biblioteca apostolica, Francesco ha ripreso i temi salienti del suo viaggio apostolico in Iraq (5- 8 marzo 2021), nel suo senso penitenziale e constatando “la gioia di accogliere il messaggero di Cristo.” Ha potuto così realizzare un progetto caro a San Giovanni Paolo II: “mai un Papa era stato nella terra di Abramo; la Provvidenza ha voluto che ciò accadesse ora, come segno di speranza dopo anni di guerra e terrorismo e durante una dura pandemia.”
Per questo ha espresso la sua “gratitudine a Dio e a tutti coloro che l’hanno resa possibile:” Ora quella irachena è una Chiesa martire in una regione del mondo dove si vedono “ferite ancora aperte” e si ascoltano testimoni di pagine drammatiche. “Non potevo avvicinarmi a quel popolo martoriato, a quella Chiesa martire, senza prendere su di me, a nome della Chiesa Cattolica, la croce che loro portano da anni; una croce grande, come quella posta all’entrata di Qaraqosh. L’ho sentito in modo particolare vedendo le ferite ancora aperte delle distruzioni, e più ancora incontrando e ascoltando i testimoni sopravvissuti alle violenze, alle persecuzioni, all’esilio…” Accanto alle ferite il Pontefice ha visto anche “la speranza di aprirsi a un orizzonte di pace e di fraternità, riassunto nelle parole di Gesù che erano il motto della Visita: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Ho riscontrato questa speranza nel discorso del Presidente della Repubblica, l’ho ritrovata in tanti saluti e testimonianze, nei canti e nei gesti della gente. L’ho letta sui volti luminosi dei giovani e negli occhi vivaci degli anziani.” E’ la speranza che ha letto negli occhi della gente che ha aspettato ore per vedere il Papa. “Il popolo iracheno ha diritto a vivere in pace, ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene. Le sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà. Baghdad è stata nella storia una città di primaria importanza, che ha ospitato per secoli la biblioteca più ricca del mondo”, distrutta dalla guerra che “è il mostro che, col mutare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità.” Ora “la risposta alla guerra non è un’altra guerra, la risposta alle armi non sono altre armi.” Allora “chi vendeva le armi ai terroristi? Chi vende oggi le armi ai terroristi, che stanno facendo stragi in altre parti, pensiamo all’Africa per esempio?” La risposta è la fraternità ed è una sfida non solo per l’Iraq, ma per il mondo intero.
Continuando a ripercorrere le tappe del suo viaggio ecco la Piana di Ur, la terra di Abramo, dove è risuonata la preghiera dì cristiani e musulmani con rappresentanti di altre religioni. “Abramo è padre nella fede perché ascoltò la voce di Dio che gli prometteva una discendenza, lasciò tutto e partì. Dio è fedele alle sue promesse e ancora oggi guida i nostri passi di pace, guida i passi di chi cammina in Terra con lo sguardo rivolto al Cielo. E a Ur, stando insieme sotto quel cielo luminoso, lo stesso cielo nel quale il nostro padre Abramo vide noi, sua discendenza, ci è sembrata risuonare ancora nei cuori quella frase: Voi siete tutti fratelli.” Poi l’incontro ecclesiale nella Cattedrale Siro-Cattolica di Baghdad “dove nel 2010 furono uccise quarantotto persone, tra cui due sacerdoti, durante la celebrazione della Messa”: una Chiesa martire il cui tempio “porta inscritto nella pietra il ricordo di quei martiri”. Il Papa ha continuato a ricordare le terre sconvolte dall’odio fondamentalista che ha costretto molte persone a fuggire, pur con la speranza di tornare. “Un messaggio di fraternità abbiamo lanciato da Mosul e da Qaraqosh, sul fiume Tigri, presso le rovine dell’antica Ninive. (…) È stata rovinata l’antica identità di queste città. Adesso si sta cercando faticosamente di ricostruire; i musulmani invitano i cristiani a ritornare, e insieme restaurano chiese e moschee. E continuiamo, per favore, a pregare per questi nostri fratelli e sorelle tanto provati, perché abbiano la forza di ricominciare.”
Un messaggio di fraternità “è venuto dalle due celebrazioni eucaristiche”: “quella di Baghdad, in rito caldeo, e quella di Erbil. (…) La speranza di Abramo e della sua discendenza si è realizzata nel mistero che abbiamo celebrato, in Gesù, il Figlio che Dio Padre non ha risparmiato, ma ha donato per la salvezza di tutti: Lui, con la sua morte e risurrezione, ci ha aperto il passaggio alla terra promessa, alla vita nuova dove le lacrime sono asciugate, le ferite sanate, i fratelli riconciliati.” Di qui l’invito a tutti a pregare per l’Iraq, dove un simbolo di resilienza e di futuro continua a portare frutto, nonostante tutto: “così è per la fraternità: non fa rumore, ma è fruttuosa e ci fa crescere. Dio, che è pace, conceda un avvenire di fraternità all’Iraq, al Medio Oriente e al mondo intero!”
Domenica 14 marzo, all’Angelus il Papa ha ricordato che la scelta di Dio fa venire alla luce e “compiere opere buone”. E’ la Domenica della gioia in cui la Liturgia invita a rallegrarsi. Francesco, riprendendo il dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, che attendeva il Messia “indentificandolo in un uomo forte che avrebbe giudicato il mondo con potenza” ha evidenziato come Gesù metta in crisi questa aspettativa. Egli si presenta “sotto tre aspetti: quello del Figlio dell’uomo esaltato sulla croce; quello del Figlio di Dio mandato nel mondo per la salvezza; e quello della luce che distingue chi segue la verità da chi segue la menzogna.”
Come il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto guardando il quale chi veniva morso guariva, così il Figlio dell’uomo “è stato innalzato sulla croce e chi crede in Lui viene sanato dal peccato e vive.” La salvezza di Dio per l’umanità ha qui la sua più alta espressione: “Dio Padre ama gli uomini al punto da ‘dare’ il suo Figlio: lo ha dato nell’Incarnazione e lo ha dato nel consegnarlo alla morte. Lo scopo del dono di Dio è la vita eterna degli uomini: Dio infatti manda il suo Figlio nel mondo non per condannarlo, ma perché il mondo possa salvarsi per mezzo di Gesù. La missione di Gesù è missione di salvezza, per tutti.” Gesù poi è la “Luce” venuta nel mondo che comporta una scelta da parte dell’uomo, tra l’intraprendere la via della luce oppure quella contraria, delle tenebre. “Chi sceglie le tenebre va incontro a un giudizio di condanna, chi sceglie la luce avrà un giudizio di salvezza. Il giudizio sempre è la conseguenza della scelta libera di ciascuno: chi pratica il male cerca le tenebre, il male sempre si nasconde, si copre. Chi fa la verità cioè pratica il bene viene alla luce, illumina i cammini della vita. Chi cammina nella luce, chi si avvicina alla luce, non può fare altro che buone opere.” Così il Papa ha invitato ad aprire i cuori all’amore infinito di Dio, “alla sua misericordia piena di tenerezza e di bontà” e ad impegnarsi di più, durante la Quaresima, ad accogliere la luce di Cristo nella nostra coscienza. “Non dimenticatevi che Dio perdona sempre, sempre se noi, con umiltà, chiediamo il perdono. Soltanto chiedere il perdono, e Lui perdona. Così troveremo la vera gioia e potremo rallegrarci del perdono di Dio che rigenera e dà vita.”
In precedenza in san Pietro aveva presieduto l’Eucaristia per celebrare i 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine, ringraziando i cattolici del Paese asiatico, terzi per numero nel mondo, per la gioia con cui portano la loro fede in tutto il mondo nella quotidianità del loro lavoro: “questa è una ‘beata malattia, conservatela !”
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