All’udienza generale di mercoledì 4 novembre (di nuovo, per la pandemia, nella Biblioteca del Palazzo Apostolico) il Papa, continuando la catechesi sulla preghiera, ha parlato dell’importanza di coltivare la vita interiore. La preghiera nei momenti di preoccupazione: è un “abbandonarsi nelle mani del Padre”, perché “ci aiuta a ritrovare la giusta dimensione, nella relazione con Dio, nostro Padre, e con tutto il creato”. Il Pontefice ha tratteggiato alcune caratteristiche fondamentali della preghiera a partire dalla vita stessa del Signore, perché è “il timone che guida la rotta di Gesù”. Essa è “il primo desiderio della giornata”, un “ascolto e incontro con Dio”, tanto che “un giorno vissuto senza preghiera rischia di trasformarsi in un’esperienza fastidiosa o noiosa” e quello che accade rischia di volgersi in un “mal sopportato” destino. Nella preghiera “le prove della vita si mutano così in occasioni per crescere nella fede e nella carità. Il cammino quotidiano, comprese le fatiche, acquista la prospettiva di una vocazione. La preghiera ha il potere di trasformare in bene ciò che nella vita sarebbe altrimenti una condanna; ha il potere di aprire un orizzonte grande alla mente e di allargare il cuore.” La preghiera è “da praticare con insistenza”. Gesù dice di “bussare” e educa a un tipo di preghiera non episodico ma a quella che diventa una disciplina perché “una preghiera perseverante produce una trasformazione progressiva, rende forti nei periodi di tribolazione, dona la grazia di essere sostenuti da Colui che ci ama e ci protegge sempre”.
Un’altra caratteristica della preghiera è la solitudine, per cui chi prega non evade dal mondo ma predilige i luoghi deserti. “Soprattutto, nel silenzio parla Dio. Ogni persona ha bisogno di uno spazio per sé stessa, dove coltivare la propria vita interiore, dove le azioni ritrovano un senso. Senza vita interiore diventiamo superficiali, agitati, ansiosi – l’ansietà come ci fa male! Per questo dobbiamo andare alla preghiera; senza vita interiore sfuggiamo dalla realtà, e anche sfuggiamo da noi stessi, siamo uomini e donne in fuga sempre.” Il segreto di Gesù “nascosto agli occhi umani, che rappresenta il fulcro di tutto” sta nell’immergersi nella sua intimità con il Padre, come a Cafarnao, che si trasforma in un “ospedale da campo,” in cui Gesù guarisce i malati e poi prima dell’alba si ritira in un luogo solitario. “Gesù è un po’ oltre, oltre nella preghiera con il Padre e oltre… in altri villaggi altri orizzonti per andare a predicare, altri popoli”.
La preghiera, infine, è abbandonarsi nelle mani del Padre, come Gesù nell’orto degli ulivi: “è bello quando noi stiamo agitati, un po’ preoccupati e lo Spirito Santo ci trasforma da dentro e ci porta a questo abbandono nelle mani del Padre: Padre, si faccia la tua volontà.” È la preghiera, infatti, che guida la rotta di Gesù, a dettare le tappe della sua missione.
All’Angelus, domenica 8 novembre, Francesco ha riletto la parabola delle dieci vergini, esortando ad “aspettare il Signore”, perché “è tanto necessario e bello.” Così “Gesù ci vuole dire che dobbiamo essere preparati all’incontro con Lui. Non solo all’incontro finale, ma anche ai piccoli incontri (…) di ogni giorno in vista di quell’incontro, per il quale non basta la lampada della fede, occorre anche l’olio della carità e delle opere buone.” Infatti “la fede che ci unisce veramente a Gesù è quella, come dice l’apostolo Paolo, che si rende operosa per mez¬zo della carità”. Come fanno le ragazze sagge, che non aspettano “l’ultimo momento per corrispondere alla gra¬zia di Dio”, ma lo fanno “attivamente da subito”. E’ oggi che bisogna convertirsi, cambiare vita ! “Se vo¬gliamo essere pronti per l’ultimo incontro con il Signore, dob¬biamo sin d’ora cooperare con Lui e compiere azio¬ni buone ispirate al suo amore.” Il Pontefice ha poi sottolineato come oggi capiti “di dimenticare la meta della nostra vita, cioè l’appuntamento definitivo con Dio”, volendo assolutizzare il presente. Così “si perde il senso dell’attesa, che è tanto bello. Aspettare il Signore è tanto necessario e anche ci butta fuori dalle contraddizioni del momento”, mentre perdere il senso dell’attesa preclude “ogni prospettiva sull’al di là”, per cui “si fa tutto come se non si dovesse mai partire per l’altra vita. E allora ci si preoccupa soltanto di possedere, di emergere, di sistemarsi.” Capita allora che “se ci lasciamo guidare da ciò che ci appare più attraente – quello che mi piace – dalla ricerca dei nostri interessi, la no¬stra vita diventa sterile; non accumuliamo alcuna riserva di olio per la nostra lampada, ed essa si spegnerà prima dell’incontro con il Signore. Dobbiamo vivere l’oggi, ma l’oggi che va verso il domani, verso quell’incontro, l’oggi carico di speranza”. Se invece, come le vergini sagge, “siamo vigilanti e facciamo il bene corrispondendo alla grazia di Dio, possiamo attendere con serenità l’arrivo dello sposo”. Qualunque momento il Signore verrà, “questo non ci preoccuperà, perché abbiamo la riserva di olio accumulata con le opere buone di ogni giorno”, con l’attesa del Signore, “che Lui venga il più presto possibile e che venga a portarmi con Lui”.
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