All’udienza generale mercoledì 13 maggio, nella Biblioteca del Palazzo apostolico, il Papa ha continuato la catechesi sulla preghiera mettendone in rilievo le caratteristiche. Egli ha innanzitutto constatato che l’atto del pregare “appartiene a tutti: agli uomini di ogni religione, e probabilmente anche a quelli che non ne professano alcuna”. La preghiera “è uno slancio, è un’invocazione che va oltre noi stessi: qualcosa che nasce nell’intimo della nostra persona e si protende, perché avverte la nostalgia di un incontro, (…) quella nostalgia che è più di un bisogno, più di una necessità; è una strada (…). La preghiera è la voce di un ‘io’ che brancola, che procede a tentoni, in cerca di un ‘Tu’. L’incontro tra l’’io’ e il ‘Tu’ non si può fare con le calcolatrici: è un incontro umano e si procede a tentoni, tante volte, per trovare il ‘Tu’ che il mio ‘io’ sta cercando … La preghiera del cristiano nasce invece da una rivelazione: il “Tu” non è rimasto avvolto nel mistero, ma è entrato in relazione con noi.” E’ la “manifestazione” di Dio, che non rimane nascosto e rivela sé stesso come ha fatto attraverso i Magi, nel battesimo sul Giordano, a Cana. Così la preghiera è entrare in relazione con un Dio “dal volto tenerissimo”. Infatti “se gli uomini erano da sempre abituati ad avvicinarsi a Dio un po’ intimiditi, un po’ spaventati da questo mistero affascinante e tremendo, se si erano abituati a venerarlo con un atteggiamento servile, simile a quello di un suddito che non vuole mancare di rispetto al suo signore, i cristiani si rivolgono invece a Lui osando chiamarlo in modo confidente con il nome di ‘Padre’. Anzi Gesù usa l’altra parola: papà.” Per il cristiano, allora, non c’è più posto per parole come “sudditanza”, “schiavitù” o “vassallaggio”, ma “alleanza”, “amicizia”, “promessa”, “comunione”, “vicinanza”. “Vi ho chiamato amici”, dice Gesù. “Questa è una banconota in bianco”, perché “Dio è l’amico, l’alleato, lo sposo. Nella preghiera si può stabilire un rapporto di confidenza con Lui, tant’è vero che nel “Padre nostro” Gesù ci ha insegnato a rivolgergli una serie di domande. A Dio possiamo chiedere tutto, tutto, spiegare tutto, raccontare tutto. Non importa se nella relazione con Dio ci sentiamo in difetto: non siamo bravi amici, non siamo figli riconoscenti, non siamo sposi fedeli. Egli continua a volerci bene.” Dio ci è sempre vicino, sta alla porta del nostro cuore e aspetta che gli apriamo. Quella di Dio “è la pazienza di un papà, di uno che ci ama tanto. Anche, io direi, è la pazienza di un papà e di una mamma, tutto insieme”. In Gesù, Dio ha continuato a volerci bene fino alla Croce, perché “Dio è alleato fedele”, anche se gli uomini smettono di amare, Lui continua a farlo. Di qui l’invito “a mettersi nella preghiera tra le braccia misericordiose di Dio a sentirci avvolti da quel mistero di felicità che è la vita trinitaria, a sentirci come degli invitati che non meritavano tanto onore. (…) Il Dio di amore, il nostro Padre che ci aspetta e ci accompagna.”
Domenica 17 maggio, al Regina Coeli dalla Biblioteca del Palazzo Apostolico, il Papa ha invitato ad affidarsi allo Spirito Santo che illumina e sorregge i nostri passi. Il Vangelo domenicale di Giovanni parla dell’amore di Dio, un amore “gratuito” che Gesù vuole diventi anche la “forma concreta della vita tra di noi”, un amore che dona “al cuore del cristiano” lo Spirito Santo perché ci aiuti a compiere questa Sua volontà. “L’osservanza dei comandamenti e la promessa dello Spirito Santo” sono infatti i due messaggi fondamentali della liturgia domenicale. “Gesù ci chiede di amarlo:” è un “amore non si esaurisce in un desiderio di Lui, o in un sentimento, richiede la disponibilità a seguire la sua strada, cioè la volontà del Padre. E questa si riassume nel comandamento dell’amore reciproco. (…) Non ha detto: ‘Amate me, come io ho amato voi’, ma ‘amatevi a vicenda come io vi ho amato’. Egli ci ama senza chiederci il contraccambio. È un amore gratuito quello di Gesù, mai ci chiede il contraccambio. E vuole che questo suo amore gratuito diventi la forma concreta della vita a tra di noi: questa è la sua volontà.” Il Signore promette poi il Paràclito, per aiutarli a camminare nella strada dell’amore: promette di non lasciarli soli e di inviare al Suo posto un “Consolatore”, un “Difensore” che infonda loro “intelligenza per ascoltare” e “coraggio per osservare le Sue parole”. Questo dono che discende nel cuore dei cristiani battezzati, è lo Spirito Santo che “li guida, li illumina, li rafforza, affinché ognuno possa camminare nella vita, anche attraverso avversità e difficoltà, nelle gioie e nei dolori, rimanendo nella strada di Gesù. Questo è possibile proprio mantenendosi docili allo Spirito Santo, affinché, con la sua presenza operante, possa non solo consolare ma trasformare i cuori, aprirli alla verità e all’amore.” Lo Spirito Santo trasforma e “ci aiuta a non soccombere”, di fronte all’esperienza dell’errore e del peccato che “tutti facciamo”, facendoci “vivere pienamente” la Parola di Dio che è “luce ai nostri passi” e ” vita”. Essa “ci è data come Parola di vita, che trasforma il cuore, la vita, che rinnova, che non giudica per condannare, ma risana e ha come fine il perdono. E la misericordia di Dio è così. Una Parola che è luce ai nostri passi. E tutto questo è opera dello Spirito Santo! Egli è il Dono di Dio, è Dio stesso, che ci aiuta ad essere persone libere, persone che vogliono e sanno amare, persone che hanno compreso che la vita è una missione per annunciare le meraviglie che il Signore compie in chi si fida di Lui.”
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