Mercoledì 6 maggio, all’udienza generale, il Papa ha iniziato un nuovo ciclo di catechesi, dedicato alla preghiera, analizzando la figura di Bartimeo, il cieco di Gerico che nel Vangelo di Marco grida a Gesù la sua fede. La preghiera “è come un grido che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio” e Bartimeo , con la sua simpatia è l’esempio di uomo che prega perché “è un uomo perseverante”, che “non rimane in silenzio anche se la gente gli dice che implorare è inutile”. La preghiera “è il respiro della fede, è la sua espressione più propria”. Bartimeo “entra nei Vangeli come una voce che grida a squarciagola: (…) Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”, riconoscendo in lui “il Messia.” E’ la “testardaggine tanto bella di coloro che cercano una grazia e bussano, bussano alla porta del cuore di Dio”. E Gesù lo ascolta; la sua preghiera “tocca il cuore di Dio, e si aprono per lui le porte della salvezza. Gesù lo fa chiamare”. Gesù lo guarisce e gli dice: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Così “riconosce a quell’uomo povero, inerme, disprezzato, tutta la potenza della sua fede, che attira la misericordia e la potenza di Dio. La fede è avere due mani alzate, una voce che grida per implorare il dono della salvezza.” Il Catechismo afferma che “l’umiltà è il fondamento della preghiera” (nel numero 2559). La preghiera infatti nasce dalla terra, dall’humus, da cui deriva “umile” ed “umiltà” e “viene dal nostro stato di precarietà, dalla nostra continua sete di Dio”. Così “la fede è grido, la non-fede è soffocare quel grido”, una specie di “omertà”, è “protesta contro una condizione penosa di cui non capiamo il motivo; la non-fede è limitarsi a subire una situazione a cui ci siamo adattati. La fede è speranza di essere salvati; la non-fede è abituarsi al male che ci opprime, e continuare così.”
Ora “più forte di qualsiasi argomentazione contraria, nel cuore dell’uomo c’è una voce che invoca. Tutti abbiamo questa voce, dentro. Una voce che esce spontanea, senza che nessuno la comandi, una voce che s’interroga sul senso del nostro cammino quaggiù, soprattutto quando ci troviamo nel buio.” Sono parole scolpite nell’intero creato che “invoca e supplica perché il mistero della misericordia trovi il suo compimento definitivo”. Infatti, “non pregano solo i cristiani” ma tutti gli uomini e le donne, e, “l’intera creazione” (come dice la lettera ai Romani) che “geme e soffre le doglie del parto”. E’ un “grido silenzioso, che preme in ogni creatura ed emerge soprattutto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è un “mendicante di Dio”.
Domenica 10 maggio, al Regina Coeli, dalla Biblioteca Apostolica, il Papa, commentando il vangelo domenicale ha ricordato che la via è Gesù, è “seguire i suoi passi”, dell’amore umile e del servizio agli altri. “Non sia turbato il vostro cuore”, dice Gesù, dicendolo anche a noi, “nei drammi della vita”. Ora, “perché il cuore non si turbi” ci sono due rimedi. Il primo è nelle parole del Maestro: “abbiate fede in me”. Non è un consiglio astratto, perché “l’ansia peggiore” nella vita “nasce dalla sensazione di non farcela, dal sentirsi soli e senza punti di riferimento davanti a quel che accade”. Abbiamo bisogno del Suo aiuto, perché è un’angoscia che “non si può superare da soli”. Gesù ci chiede allora “di avere fede in Lui, cioè di non appoggiarci a noi stessi, ma a Lui. Perché la liberazione dal turbamento passa attraverso l’affidamento”. Significa “fare il salto”. Il Risorto è “sempre al nostro fianco. Allora possiamo dirgli: Gesù, credo che sei risorto e che mi stai accanto. Credo che mi ascolti. Ti porto quello che mi turba, i miei affanni: ho fede in Te e mi affido a Te”. Il secondo rimedio è nelle parole: “vado a prepararvi un posto” nella casa del Padre. Gesù “ci ha prenotato un posto in Cielo”, ha preso su di sé “la nostra umanità per portarla oltre la morte, in un posto nuovo, in Cielo, perché lì dove è Lui fossimo anche noi”. Tutto ciò è consolante: “c’è un posto riservato per ciascuno. Anche c’è un posto per me. Ognuno di noi può dire: c’è un posto per me. Non viviamo senza meta e senza destinazione. Siamo attesi, siamo preziosi. Dio è innamorato di noi, siamo i suoi figli. E per noi ha preparato il posto più degno e bello: il Paradiso”. E’ una realtà da non dimenticare: “la dimora che ci attende è il Paradiso. Qui siamo di passaggio.” Siamo fatti per il Cielo, “per vivere per sempre”. Ora non riusciamo ad immaginarlo, ma è ancora più bello “pensare che questo per sempre sarà tutto nella gioia, nella comunione piena con Dio e con gli altri, senza più lacrime, rancori, divisioni e turbamento”. Per “raggiungere il Paradiso (…), per salire in Cielo la via è Gesù: è avere un rapporto vivo con Lui”, imitandolo nell’amore, seguendo i suoi passi. “Ci sono vie che non portano in Cielo: le vie del potere, le vie della mondanità, le vie per autoaffermarsi, le vie del potere egoista. E c’è la via di Gesù, la via dell’amore umile, della preghiera, della mitezza, della fiducia, del servizio agli altri. Non è la via del mio protagonismo, è la via di Gesù protagonista della mia vita. È andare avanti ogni giorno domandandogli: Gesù, che cosa pensi di questa mia scelta? Che cosa faresti in questa situazione, con queste persone?”.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.