Mercoledì 5 febbraio, all’udienza generale, continuando la catechesi sulle Beatitudini, il Papa ha ricordato che i poveri di spirito sono coloro che si sentono “mendicanti nell’intimo del loro essere”.
Essere poveri di spirito, insito nella nostra condizione umana, significa riconoscersi mendicanti perché si accettano i propri limiti e solo così si diventa capaci di perdonare: “c’è una povertà che dobbiamo accettare, quella del nostro essere, e una povertà che invece dobbiamo cercare, quella concreta, dalle cose di questo mondo, per essere liberi e poter amare. Sempre cercare la libertà del cuore, quella che ha le radici nella povertà di noi stessi.” Poveri non si riferisce tanto ad una privazione materiale, ma c’è molto di più perché mette in gioco la parte più profonda del nostro essere: “allora i ‘poveri in spirito’ sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere. Gesù li proclama beati, perché ad essi appartiene il Regno dei cieli.” La vita di oggi sembra scandita dalla ricerca ad “essere qualcosa, essere qualcuno”; sono binari, però, che portano solitudine e infelicità perché significa mettersi in competizione con gli altri e vivere nella preoccupazione ossessiva dell’ego. Così uno resta sempre “radicalmente incompleto e vulnerabile”, perché “se non accetto di essere povero prendo in odio tutto ciò che mi ricorda la mia fragilità. Non c’è trucco che copra questa vulnerabilità”. Infatti “se si rifiutano i propri limiti si vive male. Non si digerisce il limite, è lì. Le persone orgogliose non chiedono aiuto, non possono chiedere aiuto, non gli viene di chiedere aiuto perché devono dimostrarsi auto-sufficienti. E quante di loro hanno bisogno di aiuto, ma l’orgoglio impedisce di chiedere aiuto. E quanto è difficile ammettere un errore e chiedere perdono!” Il Papa, poi ricordando agli sposi novelli le tre parole che sono il segreto per continuare a camminare insieme (“permesso, grazie, scusa”), ha affermato che “sono parole che vengono dalla povertà, dalla povertà di uno”. Chiedere perdono è la cosa più difficile “perché l’orgoglioso non ce la fa. Non può chiedere scusa: sempre ha ragione. Non è povero di spirito. Invece il Signore mai si stanca di perdonare; siamo noi purtroppo che ci stanchiamo di chiedere perdono. La stanchezza di chiedere perdono: questa è una malattia brutta!” Nascondere i propri limiti è “faticoso e angosciante”, ma ”Gesù Cristo ci dice: essere poveri è un’occasione di grazia; e ci mostra la via di uscita da questa fatica”. Occorre poi “ribadire una cosa fondamentale: non dobbiamo trasformarci per diventare poveri in spirito, non dobbiamo fare alcuna trasformazione perché lo siamo già! Siamo poveri… o più chiaro: siamo dei ‘poveracci’, in spirito! Abbiamo bisogno di tutto. Siamo tutti poveri in spirito, siamo mendicanti. È la condizione umana.”
Ora “il Regno di Dio è dei poveri di spirito”, non un regno fatto di beni e comodità destinati alla fine ma costruito sui mattoni del bene, il resto passa e dopo la morte le cose materiali non hanno più valore: “i vecchi ci insegnavano che il sudario non aveva tasche. E’ vero. Non ho mai visto dietro un corteo funebre un camion per il trasloco: nessuno si porta nulla. Queste ricchezze rimangono qui. Regna veramente chi sa amare il vero bene più di sé stesso. E questo è il potere di Dio.” Cristo ha mostrato la sua potenza dando la sua vita per gli altri: “questo è il vero potere. Potere della fratellanza, potere della carità, potere dell’amore, potere dell’umiltà. Questo ha fatto Cristo. In questo sta la vera libertà: chi ha questo potere dell’umiltà, del servizio, della fratellanza è libero. A servizio di questa libertà sta la povertà elogiata dalle Beatitudini.”
Domenica 9 febbraio, all’Angelus, Francesco ha messo in evidenza come la Chiesa non possa chiudersi in sé stessa ma deve essere una comunità al servizio degli ultimi.
Così si è soffermato sulle due immagini evangeliche del sale e della luce, immagini simboliche, criteri, atteggiamenti corretti che Gesù consegna ai discepoli e a quanti intendono seguirlo, per essere veri testimoni e annunciatori del Vangelo. Il sale esalta, dà sapore, conserva e preserva gli alimenti dalla corruzione. “Il discepolo è dunque chiamato a tenere lontani dalla società i pericoli, i germi corrosivi che inquinano la vita delle persone. Si tratta di resistere al degrado morale, al peccato, testimoniando i valori dell’onestà e della fraternità, senza cedere alle lusinghe mondane dell’arrivismo, del potere, della ricchezza.” E’ sale quel discepolo che “nonostante i fallimenti quotidiani” si rialza, ricomincia ogni volta con pazienza, cercando il dialogo e l’incontro e chi non desidera consenso e plauso ma, fedele agli insegnamenti di Cristo, si sforza di essere “una presenza umile e costruttiva”. Il cristiano poi è luce, sull’esempio di Gesù, per disperdere le tenebre che ancora avvolgono il mondo e i cuori di tante persone, scaturendo dalle opere più che dalle parole per indirizzare a fare esperienza della bontà e della misericordia di Cristo. “E’ luce quando sa vivere la propria fede al di fuori di spazi ristretti, quando contribuisce a eliminare i pregiudizi, le calunnie, e a far entrare la luce della verità nelle situazioni viziate dall’ipocrisia e dalla menzogna.” Di qui l’invito a non avere paura di vivere nel mondo, ma ad essere strumenti di Gesù perché la luce arrivi a tutti. “Di fronte alla violenza, all’ingiustizia, e all’oppressione, il cristiano non può chiudersi in sé stesso o nascondersi nella sicurezza del proprio recinto; anche la Chiesa non può chiudersi in sé stessa, non può abbandonare la sua missione di evangelizzazione e di servizio. (…) La Chiesa si spende con generosità e tenerezza per i piccoli e i poveri: questo non è lo spirito del mondo, questo è la sua luce e il sale; la Chiesa ascolta il grido degli ultimi e degli esclusi, perché è consapevole di essere una comunità pellegrina chiamata a prolungare nella storia la presenza salvifica di Gesù Cristo.”
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.