Il dramma della miseria attraversa il mondo. Così in America centrale la prima carovana di migranti del 2020 è partita mercoledì 15 gennaio da San Pedro Sula in Honduras, è dopo aver attraversato il Guatemala, è giunta di fronte al rio Suchiate, alla frontiera messicana. Erano partiti in 300, ma ora sono già oltre 4.000 le persone giunte alla frontiera messicana, circa due terzi sono honduregni, gli altri provengono da El Salvador, Nicaragua, Cuba e persone si sono aggiunte dallo stesso Guatemala. In fuga da disperazione e situazione insostenibile di povertà, da violenza e mancanza di diritti umani, vogliono raggiungere gli Stati Uniti.
Come riferisce l’agenzia SIR, ci sono famiglie intere ma anche madri sole, minori e donne incinte (secondo il rapporto diffuso dall’Onu). Sono bloccati alla frontiera con il Messico, sul rio Suchiate, dove la guardia nazionale messicana ha usato le maniere forti e gas lacrimogeni per contenere i tentativi di forzare il blocco, mentre in tanti cercavano di passare la frontiera attraverso il fiume.
L’era delle “carovane” centroamericane era iniziata nell’autunno del 2018; a un primo esodo collettivo, che si era snodato fino a Tijuana, ai confini con la California, ne era seguito un secondo, e poi un terzo, e poi altri ancora. Lo scorso anno, l’accordo tra gli Stati Uniti e il Messico aveva “sigillato” le frontiere. Trump aveva anche firmato in estate un accordo con il Guatemala, definito “terzo Paese sicuro”. In pratica, i richiedenti asilo negli Usa avrebbero potuto attendere la risposta alla loro richiesta nel Paese centroamericano, così come accade per il Messico, in cambio di aiuti.
“Agiamo – ha detto al Sir mons. Jaime Calderón Calderón vescovo di Tapachula – come il Buon samaritano”, mentre la politica è “ambigua ed esitante, (…) consapevoli del nostro dovere cristiano di battezzati figli di Dio, Padre di tutti senza differenze o distinzioni, sentiamo il dovere di mostrare il nostro pensiero con semplicità, chiarezza e determinazione in relazione ai fratelli che vengono nella carovana”.
Per questo “garantiremo sempre – scrive il vescovo – che, nel trascorrere un soggiorno temporaneo o permanente nel nostro territorio diocesano, i fratelli migranti non accumulino più sofferenza oltre a quella dell’inclemenza che di per sé accompagna un cammino lungo, tortuoso, accidentato, insicuro e violento”.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.