L’udienza generale di mercoledì 9 ottobre è stata dedicata alla figura di Saulo (il futuro apostolo Paolo), nel percorso sugli Atti degli Apostoli, riflettendo sulla sua Conversione. Nel descriverlo, il Papa ha rilevato che perseguitando i cristiani, egli pensava “di servire la Legge del Signore” e che in lui c’era “un soffio di morte”. Saulo viene “ritratto come un intransigente, cioè uno che manifesta intolleranza verso chi la pensa diversamente da sé, assolutizza la propria identità politica o religiosa e riduce l’altro a potenziale nemico da combattere. Un ideologo: in Saulo la religione si era trasformata in ideologia. Ideologia religiosa, ideologia sociale, ideologia politica.” L’incontro con Cristo farà capire a Saulo che i veri nemici contro cui lottare sono “gli spiriti del male” che dominano il mondo e che “non si devono combattere le persone, ma il male che ispira le loro azioni”. Di qui l’invito a ciascuno ad “interrogarsi: come vivo la mia vita di fede? Vado incontro agli altri oppure sono contro gli altri? Appartengo alla Chiesa universale, buoni cattivi, tutti, tutti, o ho una ideologia selettiva? Adoro Dio o adoro le formulazioni dogmatiche? Com’è la mia vita religiosa? La fede in Dio che professo mi rende amichevole oppure ostile verso chi è diverso da me?” Così il Signore risorto manifestandosi a Saulo “per toccargli il cuore”, gli chiede conto delle sue azioni (‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?’). “Qui il Risorto manifesta il suo essere una cosa sola con quanti credono in Lui: colpire un membro della Chiesa è colpire Cristo stesso!” Abbagliato dalla luce di Cristo, “non vede più nulla, e da uomo forte, autorevole e indipendente diventa debole, bisognoso e dipendente dagli altri”. Da questo incontro inizia “il suo passaggio dalla morte alla vita”, per cui per lui conterà solo Cristo, diventando lo strumento nelle mani di Dio per portare a tutti il suo nome. “Il Battesimo segna così per Saulo, come per ciascuno di noi, l’inizio di una vita nuova, ed è accompagnato da uno sguardo nuovo su Dio, su sé stesso e sugli altri, che da nemici diventano ormai fratelli in Cristo. (…) Chiediamo al Padre che faccia sperimentare anche a noi, come a Saulo, l’impatto con il suo amore che solo può fare di un cuore di pietra un cuore di carne, capace di accogliere in sé ‘gli stessi sentimenti di Cristo Gesù’.”
Domenica 13 ottobre il Papa ha proclamato cinque nuovi santi: Henry Newman, la Fondatrice delle Figlie di San Camillo suor Giuseppina Vannini, la Madre indiana Mariam Thresa Chiramel Mankidiyan, la brasiliana suor Dulce Lopes Pontes e la svizzera Margarita Bays. Il Papa ha sottolineato che si tratta di tre suore, espressione della vita religiosa come “un cammino d’amore nelle periferie esistenziali del mondo”, di una sarta (Margarita Bays) che rivela “quant’è potente la preghiera semplice, la sopportazione paziente, la donazione silenziosa: attraverso queste cose il Signore ha fatto rivivere in lei lo splendore della Pasqua” e del card. Newman che parlò della santità del quotidiano, della pace profonda, silenziosa e nascosta del cristiano che non accampa pretese. Essi hanno camminato sulle strade della fede, superando prove ardue, donandosi nella preghiera e nell’assistenza agli ultimi, cercando per tutta la vita la verità che è Gesù, mostrando il volto di una Chiesa capace di vivere nelle periferie esistenziali del mondo, una Chiesa che si fa tale in una casa semplice e una Chiesa santa nel quotidiano. “Chiediamo di essere così, ‘luci gentili’ tra le oscurità del mondo. Gesù, «resta con noi e noi cominceremo a brillare come Tu brilli, a brillare in modo da essere una luce per gli altri»”.
Nell’omelia, il Pontefice ha indicato (commentando il vangelo lucano guarigione dei lebbrosi) tre strade per disegnare il cammino della fede. “Come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro; da molte paure; dai vizi di cui siamo schiavi; da tante chiusure, dipendenze e attaccamenti: al gioco, ai soldi, alla televisione, al cellulare, al giudizio degli altri. Il Signore libera e guarisce il cuore, se lo invochiamo, se gli diciamo: Signore, io credo che puoi risanarmi; guariscimi dalle mie chiusure, liberami dal male e dalla paura, Gesù”. Innanzitutto il Signore premia l’audacia di chi lo chiama per nome, rivolgendosi in modo diretto e spontaneo, perché “chiamare per nome è segno di confidenza, e al Signore piace. La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie. Invochiamo con fiducia ogni giorno il nome di Gesù: Dio salva. Ripetiamolo: è pregare, dire Gesù è pregare. La preghiera è la porta della fede, la preghiera è la medicina del cuore.” Occorre, poi, avanzare nella fede con l’amore umile e concreto, con la pazienza quotidiana: è la via per “camminare” insieme e mai da soli. “La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli. La fede aumenta col dono e cresce col rischio. Sì cresce con il rischio! La fede procede quando andiamo avanti equipaggiati di fiducia in Dio.” Francesco ha poi rilevato che solo un lebbroso tornò a ringraziare Gesù, una decisione che lo condusse alla salvezza. Gesù gli dice: “la tua fede ti ha salvato”. Infatti “la salvezza non è bere un bicchiere d’acqua per stare in forma, è andare alla sorgente, che è Gesù. Solo Lui libera dal male e guarisce il cuore, solo l’incontro con Lui salva, rende la vita piena e bella. Quando s’incontra Gesù nasce spontaneo il ‘grazie’, perché si scopre la cosa più importante della vita: non ricevere una grazia o risolvere un guaio, ma abbracciare il Signore della vita.” Per questo “il culmine del cammino di fede è vivere rendendo grazie” e “quando ringraziamo il Padre si commuove e riversa su di noi lo Spirito Santo”. Infatti “ringraziare non è questione di cortesia, di galateo, è questione di fede. Un cuore che ringrazia rimane giovane. Dire: ‘grazie, Signore’ al risveglio, durante la giornata, prima di coricarsi è l’antidoto all’invecchiamento del cuore, perché il cuore invecchia e si abitua male. Così anche in famiglia, tra sposi: ricordarsi di dire grazie. Grazie è la parola più semplice e benefica.”
All’Angelus, ha salutato le delegazioni di diversi Paesi ed i delegati della Comunione Anglicana, esprimendo “viva gratitudine per la loro presenza” alla celebrazione. Il suo pensiero è andato poi alla martoriata Siria, con l’appello “ad impegnarsi con sincerità, con onestà e trasparenza sulla strada del dialogo per cercare soluzioni efficaci” e all’Equador, segnato da proteste e violenze.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.