Il governo eritreo (uno dei più autoritari e repressivi del mondo) ha deciso di nazionalizzare le strutture sanitarie della chiesa, anzi, al rifiuto degli amministratori delle strutture cattoliche di firmare un documento che sancisce il passaggio di proprietà delle strutture, hanno chiuso i centri sanitari. Ad aprile scorso, i vescovi cattolici, in una Lettera pastorale, avevano chiesto “un processo di riconciliazione nazionale che garantisse giustizia sociale” per tutti.
“Il governo – ha spiegato a Vatican new il giornalista Enrico Casale della rivista Africa dei Padri Bianchi – attualmente ha applicato una legge, approvata nel 1995, che avocava a sé tutte le strutture sociali presenti sul territorio. Non era mai entrata in vigore fino ad ora”. Una disposizione che è diventata effettiva solo negli ultimi anni.
“La chiesa – racconta Casale – aveva gestito tutta una serie di attività di carattere sociale a favore delle fasce più povere”, come gli afar, popolazione nomade della Dancalia. Cittadini che lo scorso anno sono stati privati dell’unico centro medico della regione gestito da alcune Suore Orsoline. “Gli ospedali cattolici – prosegue Casale – rappresentavano un pilastro del sistema sanitario nazionale”. Sono circa 40 tra ospedali, centri sanitari e dispensari, tutti a servizio della popolazione, senza alcuna distinzione di etnia o religione, che forniscono cure quasi sempre gratuite.
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