L’udienza generale di mercoledì 5 giugno è stata dedicata al recente viaggio apostolico in Romania (31 maggio – 2 giugno). Il Pontefice ha messo in rilievo l’indole ecumenica, perché “l’unione tra tutti i cristiani, pur incompleta, è basata sull’unico Battesimo ed è sigillata dal sangue e dalla sofferenza patita insieme nei tempi oscuri della persecuzione, in particolare nel secolo scorso sotto il regime ateistico”. Ha fatto memoria della cordiale accoglienza del popolo romeno, con il Patriarca ed il S. Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena, ribadendo “la volontà della Chiesa Cattolica di camminare insieme nella memoria riconciliata e verso una più piena unità, che proprio il popolo romeno invocò profeticamente durante la visita di San Giovanni Paolo II”. I diversi incontri hanno “evidenziato il valore e l’esigenza di camminare insieme sia tra cristiani, sul piano della fede e della carità, sia tra cittadini, sul piano dell’impegno civile”.
Nel corso della tre giorni tanti sono stati anche gli appuntamenti con la comunità cattolica: la S.Messa nella Cattedrale di Bucarest, la celebrazione nel Santuario di Șumuleu Ciuc, meta di moltissimi pellegrini e la Divina Liturgia a Blaj, centro della Chiesa greco-cattolica in Romania, con la beatificazione di sette vescovi martiri greco-cattolici, “testimoni della libertà e della misericordia che vengono dal Vangelo”. Ha ricordato poi l’incontro “intenso e festoso” con i giovani e le famiglie a Iaşi, “antica città e importante centro culturale, crocevia tra occidente e oriente”, in un “luogo che invita ad aprire strade su cui camminare insieme, nella ricchezza delle diversità, in una libertà che non taglia le radici ma vi attinge in modo creativo. Anche questo incontro ha avuto carattere mariano e si è concluso con l’affidamento dei giovani e delle famiglie alla Santa Madre di Dio.” La visita si è conclusa con la visita alla comunità Rom di Blaj, dove ha rinnovato “l’appello contro ogni discriminazione e per il rispetto delle persone di qualsiasi etnia, lingua e religione”.
Domenica 9 giugno, nella solennità della Pentecoste, celebrando l’Eucaristia in san Pietro, ha evidenziato come nella fretta del nostro tempo l’armonia sembra emarginata ma lo Spirito Santo venga a mettere ordine nella frenesia. Lo Spirito fa rinascere, scardina paure e incertezze, dona forza nuova, “fa vivere e rivivere Gesù in noi”, proprio come ha fatto con gli apostoli: “quei giovani, che in preda all’incertezza si sentivano arrivati, sono stati trasformati da una gioia che li ha fatti rinascere. Lo Spirito Santo ha fatto questo.” Francesco ha poi tratteggiato le frenesie del mondo di oggi in cui “rischiamo di scoppiare”, sollecitati “da un nervosismo continuo che ci fa reagire male a ogni cosa” e a cercare “la soluzione rapida, (…) un’emozione dietro l’altra per sentirsi vivi. Ma abbiamo soprattutto bisogno dello Spirito: è Lui che mette ordine nella frenesia. Egli è pace nell’inquietudine, fiducia nello scoraggiamento, gioia nella tristezza, gioventù nella vecchiaia, coraggio nella prova. È Colui che, tra le correnti tempestose della vita, fissa l’ancora della speranza.”
Quella dello Spirito Santo è un’armonia che rispetta le diversità, che non le mette in contrapposizione e “ci fa Chiesa”, anche in un periodo storico in cui si è tutti molto ‘social’ e poco ‘sociali’. Il Papa, poi, ha messo in guardia dalla “tentazione di costruire ‘nidi’: di raccogliersi attorno al proprio gruppo, alle proprie preferenze. E dal nido alla setta il passo è breve, anche dentro la Chiesa: quante volte si definisce la propria identità contro qualcuno o contro qualcosa! Lo Spirito Santo, invece, congiunge i distanti, unisce i lontani, riconduce i dispersi.” Forte è stata la denuncia del Pontefice: “oggi nel mondo le disarmonie sono diventate vere e proprie divisioni: c’è chi ha troppo e c’è chi nulla, c’è chi cerca di vivere cent’anni e chi non può venire alla luce.”
Sembra di vivere in “una cultura dell’aggettivo che dimentica il sostantivo delle cose”; ma solo “chi vive secondo lo Spirito” può spezzare la logica del rendere “male per male, passando da vittime a carnefici”. Di qui l’invito a portare “pace dov’è discordia, concordia dov’è conflitto. Gli uomini spirituali rendono bene per male, rispondono all’arroganza con mitezza, alla cattiveria con bontà, al frastuono col silenzio, alle chiacchiere con la preghiera, al disfattismo col sorriso.” Per “essere spirituali” e “gustare l’armonia dello Spirito” è necessario “mettere il suo sguardo davanti al nostro”, altrimenti “la comunione” e “la Chiesa” contorcono e distorcono la propria natura, diventando fatica e perdendo il proprio significato. L’invito è a perseverare nella preghiera quotidiana allo Spirito Santo “perché ci renda artigiani di concordia, seminatori di bene, apostoli di speranza”.
Al Regina Coeli Francesco ha ricordato la figura del Beato Giedroyc nato nel 1420 in una nobile famiglia lituana e che con le sue opere e la sua vocazione religiosa ha alimentato la fede del popolo polacco, superando i confini delle nazioni e che è stato proclamato beato sabato 8 giugno a Cracovia, “modello di umiltà e di carità evangelica”. Ha poi invitato a pregare per il Sudan, il Paese africano è attanagliato da una grave crisi politica, “perché cessino le violenze e si ricerchi il bene comune nel dialogo.” Infine ha incoraggiato ad “aprirsi con docilità all’azione dello Spirito Santo, offrendo al mondo, nella varietà dei carismi, l’immagine di una fraternità in comunione.”
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