Il 30° viaggio apostolico di Papa Francesco si è svolto dal 31 maggio fino al 2 giugno in Romania, con il motto “Camminiamo insieme”, la seconda volta di un Pontefice dopo san Giovanni Paolo II (7 e il 9 maggio 1999). Giunto nella mattina di venerdì 31 maggio a Bucarest, dopo l’accoglienza e la cerimonia di benvenuto, Francesco ha tracciato una road map per il futuro dell’Europa e del mondo, spiegando (nell’incontro con le autorità civili) che l’attenzione agli ultimi rappresenta “la migliore verifica della reale bontà del modello di società che si viene costruendo”. Infatti quanto più una società “si prende a cuore la sorte dei più svantaggiati, tanto più può dirsi veramente civile”. Per questo servono anima e cuore liberi “dal dilagante potere dei centri dell’alta finanza”, nella “consapevolezza della centralità della persona umana e dei suoi diritti inalienabili”. Negli incontri con le autorità della Chiesa ortodossa rumena, ha invitato i cristiani ad “ascoltare insieme il Signore”, soprattutto in questi tempi “nei quali le strade del mondo hanno condotto a rapidi cambiamenti sociali e culturali. Dello sviluppo tecnologico e del benessere economico hanno beneficiato in molti, ma i più sono rimasti inesorabilmente esclusi, mentre una globalizzazione omologante ha contribuito a sradicare i valori dei popoli, indebolendo l’etica e il vivere comune, inquinato, in anni recenti, da un senso dilagante di paura che, spesso fomentato ad arte, porta ad atteggiamenti di chiusura e di odio”.
Nella preghiera comune del Padre Nostro nella nuova cattedrale ortodossa di Bucarest alla presenza del patriarca Daniel, ha detto che “la propria chiamata” non è “completa senza quella del fratello”, come ricorda l’episodio evangelico di Andrea, patrono della Romania, e Pietro. “Ogni volta che diciamo ‘Padre nostro’ ribadiamo che la parola Padre non può essere senza dire ‘nostro’, non può stare senza dire ‘nostro’. Uniti nella preghiera di Gesù, ci uniamo anche nella sua esperienza di amore e di intercessione che ci porta a dire: Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. È l’invito a che il ‘mio’ si trasformi in nostro e il nostro si faccia preghiera.”
Celebrando poi la S.Messa nella Cattedrale cattolica di S.Basilio (la più piccola del mondo), ha parlato della Vergine Maria come una semplice ragazza, con la totale fiducia nella grandezza del Signore. Nel Magnificat, la Vergine si fa portatrice di speranza per gli umili: Così di lei indica tre aspetti. Innanzitutto Maria cammina: “esperta nel faticare, sa come prenderci per mano nelle asperità, quando ci troviamo davanti ai tornanti più ripidi della vita.” Poi Maria incontra, come ha fatto con Elisabetta: “è il miracolo suscitato dalla cultura dell’incontro, dove nessuno è scartato né etichettato, al contrario, dove tutti sono ricercati, perché necessari, per far trasparire il Volto del Signore.” Infine Maria gioisce per la grandezza del Signore, perché “Dio è in mezzo a noi come un salvatore potente”. Questo è fonte di gioia per il cristiano. Il segreto della gioia sta nella fiducia in Dio e nella sua grandezza. Noi siamo piccoli, ma “Dio può sempre compiere meraviglie se rimaniamo aperti a Lui e ai fratelli.”
La seconda giornata del Papa (sabato 1 giugno) è stata fortemente segnata dalla figura della Vergine Maria, nel Santuario mariano di Sumuleu Ciuc, nell’abbraccio di Francesco agli oltre 600 anziani e malati riuniti nella Cattedrale di Santa Maria Vergine Regina di Iaşi, per terminare con l’incontro con la gioventù e le famiglie. Al Santuario di origine medioevale, cuore pulsante della devozione per la Vergine, specialmente per i cattolici di lingua ungherese della zona, e anche di altri Paesi, il Pontefice, nell’Omelia, ha indicato nel trovare la comunione il senso più profondo del pellegrinare, Maria intercede “non solo davanti a suo Figlio, ma anche davanti a ciascuno di noi, perché non ci lasciamo rubare la fraternità dalle voci e dalle ferite che alimentano la divisione e la frammentazione”. Pellegrinare è sapere che veniamo come “un popolo alla nostra a casa”, sapere che “abbiamo coscienza di essere popolo” la cui ricchezza sono i suoi mille volti, culture, lingue e tradizioni. Non bisogna avere paura di “mescolarsi” e “aiutarci”. Pellegrinare “è l’impegno a lottare perché quelli che ieri erano rimasti indietro diventino i protagonisti del domani, e i protagonisti di oggi non siano lasciati indietro domani. E questo (…) richiede il lavoro artigianale di tessere insieme il futuro. Ecco perché siamo qui per dire insieme: Madre, insegnaci ad imbastire il futuro.“ A Iaşi, una delle città più antiche della Romania e il più importante centro politico, economico e culturale della Moldavia, ha pregato sulle reliquie di uno dei martiri della dittatura comunista, il Beato martire Anton Durcovici, vescovo di Iasi dal 1947, perseguitato dal regime comunista che dopo essersi opposto alla sua ordinazione episcopale, lo gettò in un carcere di massima sicurezza tra le cui mura morì il 10 dicembre del 1951.Viva commozione sul volto di Francesco e dei tanti anziani, malati, bambini che affollano la Cattedrale, insieme alle famiglie, alle suore e ai volontari che li assistono ogni giorno. A ciascuno il Papa ha regalato un sorriso, un abbraccio. “Vorrei dare a tutti voi la benedizione con la mia gratitudine per essere qui. Grazie di essere qui, grazie di essere con i vostri malati e grazie a voi che portate avanti la malattia offrendola al Signore.”
Poi l’atteso incontro con i giovani e le famiglie di Iaşi, invitando tutti a restare radicati nella propria storia per “abbattere” le “trincee” e “aprire strade che ricordino quell’appartenenza di figli e fratelli”. Egli ha sottolineato come qui si trovi “il volto della famiglia di Dio che abbraccia bambini, giovani, coniugi, consacrati, anziani rumeni di diverse regioni e tradizioni (…) Lo Spirito Santo ci convoca tutti e ci aiuta a scoprire la bellezza di stare insieme, di poterci incontrare per camminare insieme. Ognuno con la propria lingua e tradizione, ma felice di incontrarsi tra fratelli.” Poi l’invito a tutti i fedeli a “seminare” la gioia del Vangelo, sospinti dallo Spirito, che “abbraccia le nostre differenze e ci dona la forza per aprire percorsi di speranza tirando fuori il meglio da ciascuno”. Certo, “camminare insieme” non è facile, ma è un dono da chiedere, “un’opera artigianale” da costruire e trasmettere. A tutti il Pontefice chiede di vivere la propria fede in mezzo alle “tante le provocazioni che ci possono scoraggiare e farci chiudere in noi stessi”, riconoscendo la “vocazione” donata dal Signore, scoprendo i propri “talenti” e mettendoli “al servizio degli altri”, perché “questa è una libertà molto più grande che poter consumare e comprare cose. Una vocazione che ci mette in movimento, ci fa abbattere trincee e aprire strade che ci ricordino quell’appartenenza di figli e fratelli.” Nel “giardino della Madre di Dio” Francesco ha consacrato a Maria “l’avvenire dei giovani, delle famiglie e della Chiesa”, ribadendo che “la fede non si trasmette solo con le parole, ma con gesti, sguardi, carezze come quelle delle nostre madri, delle nostre nonne; con il sapore delle cose che abbiamo imparato in casa, in maniera semplice e genuina”.
Il viaggio papale si è concluso domenica 2 giugno a Blaj, soprannominata la “Piccola Roma”, nell’altopiano transilvano, con la beatificazione di sette vescovi martiri greco-cattolici e l’incontro con la comunità rom di Blaj, a cui ha chiesto scusa per le discriminazioni e le segregazioni subite, “per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele, e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità.” L’indifferenza di Caino per il fratello, alimenta infatti i pregiudizi, fomenta rancori, crea distanze: “quando qualcuno viene lasciato indietro, la famiglia umana non cammina. Non siamo fino in fondo cristiani, e nemmeno umani, se non sappiamo vedere la persona prima delle sue azioni, prima dei nostri giudizi e pregiudizi.” Li ha poi invitati ad aprirsi agli altri e a condividere i propri doni: “voi come popolo avete un ruolo da protagonista da assumere e non dovete avere paura di condividere e offrire quelle specifiche caratteristiche che vi costituiscono e che segnano il vostro cammino, e delle quali abbiamo tanto bisogno: il valore della vita e della famiglia in senso allargato (cugini, zii, …); la solidarietà, l’ospitalità, l’aiuto, il sostegno e la difesa dei più deboli all’interno della loro comunità; la valorizzazione e il rispetto degli anziani, un grande valore che voi avete; il senso religioso della vita, la spontaneità e la gioia di vivere.”
Momento conclusivo è stata la beatificazione, nella Divina Liturgia, dei 7 vescovi martiri greco-cattolici nel 1948: mons. Vasile Aftenie, mons. Valeriu Traian Frenţiu, mons. Ioan Suciu, mons. Tit Liviu Chinezu, mons. Ioan Bălan, mons. Alexandru Rusu, e il card. Iuliu Hossu.
Non furono i soli perseguitati in un periodo dove la vita della comunità cattolica fu messa a dura prova dal “regime dittatoriale e ateo”, quando tutti i vescovi della Chiesa greco-cattolica e della Chiesa cattolica di rito latino furono incarcerati, insieme a molti fedeli. “Voi avete sofferto” azioni basate sul discredito fino all’annientamento di chi non può difendersi e al tacere delle voci dissonanti. Ma di fronte alla feroce oppressione del regime, i 7 vescovi dimostrarono una fede e un amore esemplari. Forte è stato l’invito del Papa ad essere, come questi Beati, testimoni di libertà e misericordia, di perdono: ora “tocca a noi lottare, come è toccato a loro in quei tempi” contro le nuove ideologie, atee come nel passato, che disprezzano il valore della persona, della vita, della famiglia. I nuovi Beati hanno sacrificato la loro vita opponendosi ad un sistema ideologico coercitivo dei diritti fondamentali della persona. Hanno vissuto la misericordia, senza parole di odio verso i loro persecutori o atteggiamenti di ritorsione. Diceva il card. Hossu: “Dio ci ha mandato in queste tenebre della sofferenza per donare il perdono e pregare per la conversione di tutti”. Si tratta di “un messaggio profetico, perché si presenta oggi come un invito a tutti a vincere il rancore con la carità e il perdono, vivendo con coerenza e coraggio la fede cristiana.” Ha messo poi in guardia dalle “nuove ideologie” che oggi riappaiono per sradicare la gente dalle sue più ricche tradizioni culturali e religiose, “colonizzazioni ideologiche che disprezzano il valore della persona, della vita, del matrimonio e della famiglia e nuocciono, con proposte alienanti, ugualmente atee come nel passato, in modo particolare ai nostri giovani e bambini lasciandoli privi di radici da cui crescere; e allora tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati, e induce le persone ad approfittare delle altre e a trattarle come meri oggetti.” Da qui l’esortazione centrale del Papa “a portare la luce del Vangelo ai nostri contemporanei e a continuare a lottare, come questi Beati, contro queste nuove ideologie che sorgono. Tocca a noi adesso lottare, come è toccato a loro lottare in quei tempi. Possiate essere testimoni di libertà e di misericordia, facendo prevalere la fraternità e il dialogo sulle divisioni, incrementando la fraternità del sangue, che trova la sua origine nel periodo di sofferenza nel quale i cristiani, divisi nel corso della storia, si sono scoperti più vicini e solidali.”
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