Mercoledì 24 aprile, all’udienza generale, il Papa ha esortato a perdonare, sull’esempio di Gesù, commentando l’espressione del “Padre Nostro” (“come noi li rimettiamo ai nostri debitori”). Infatti “nella vita non tutto si risolve con la giustizia. No. Soprattutto laddove si deve mettere un argine al male, qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. (…). Alla legge del taglione – quello che tu hai fatto a me, io lo restituisco a te (…) – Gesù sostituisce la legge dell’amore: quello che Dio ha fatto a me, io lo restituisco a te!” Se non ci si sente capaci di perdonare, occorre chiedere al Signore questa grazia: “Dio dona ad ogni cristiano la grazia di scrivere una storia di bene nella vita dei suoi fratelli, specialmente di quelli che hanno compiuto qualcosa di spiacevole e di sbagliato. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo trasmettere agli altri ciò che abbiamo ricevuto di più prezioso. Qual è la cosa preziosa che noi abbiamo ricevuto? Il perdono, che dobbiamo essere capaci di dare anche agli altri.” Riflettendo su Matteo 18, con l’invito a Pietro di perdonare “fino a settanta volte sette”, il Papa ha insegnato che “chi prega, impara a dire grazie’” mentre “noi ci dimentichiamo tante volte di dire grazie’”, mettendo in evidenza che Dio ci ama “infinitamente più di quanto noi lo amiamo” e che “per quanto ci sforziamo”, ci sarà sempre “qualcosa di cui chiedere perdono”. Basti pensare ai “giorni trascorsi pigramente” o ai “momenti in cui il rancore ha occupato il nostro cuore”. Gesù salda la richiesta (“rimetti a noi i nostri debiti”) con una seconda espressione (“come noi perdoniamo i nostri amici, la gente che vive con noi, i nostri vicini”). Ogni cristiano sa che Dio perdona tutto e sempre, ma la grazia di Dio “è sempre impegnativa”, cioè chi ha ricevuto tanto, deve imparare a dare tanto. “Se tu non perdoni, Dio non ti perdonerà. Pensiamo, noi che stiamo qui, se noi perdoniamo o se siamo capaci di perdonare. (…) Ma se tu non ce la fai, chiedi al Signore che ti dia la forza per farcela: Signore, aiutami a perdonare. Ritroviamo qui la saldatura tra l’amore per Dio e quello per il prossimo. Amore chiama amore, perdono chiama perdono.”
Domenica 28 aprile, nella domenica della Divina Misericordia, al Regina Coeli, ha ricordato come Gesù risorto doni ai discepoli (e quindi a noi) pace, gioia e missione. Il Risorto porta l’autentica pace “perché mediante il suo sacrificio sulla croce ha realizzato la riconciliazione tra Dio e l’umanità e ha vinto il peccato e la morte”. I discepoli erano i primi ad aver bisogno di questa pace “perché, dopo la cattura e la condanna a morte del Maestro, erano piombati nello smarrimento e nella paura”. Gesù si presenta vivo, mostra le sue piaghe, che “ha voluto conservare” e quindi “dona la pace come frutto della sua vittoria”. Tommaso, che era assente, quando viene informato dagli altri apostoli, “pretende di verificare di persona la verità di quanto essi affermano”. Otto giorni dopo, l’apparizione si ripete. Gesù “viene incontro all’incredulità di Tommaso, invitandolo a toccare le sue piaghe”. Sono la fonte della pace, perché “segno dell’amore immenso di Gesù che ha sconfitto le forze ostili all’uomo, il peccato e la morte”. Questo è un “insegnamento per noi, come se Gesù ci dicesse a tutti noi: ma se tu non sei in pace, tocca le mie piaghe. Toccare le piaghe di Gesù. (…) Ma da quelle piaghe scaturisce la misericordia.” Un santo “diceva che il corpo di Gesù crocifisso era come un sacco di misericordia che attraverso le piaghe veniva a tutti noi. tutti noi abbiamo bisogno della misericordia”. Di qui l’invito: “avviciniamoci a Gesù e tocchiamo le sue piaghe, nei nostri fratelli che soffrono. Le piaghe di Gesù sono un tesoro, da lì esce la misericordia. Siamo coraggiosi e tocchiamo le piaghe di Gesù. (…) Con le piaghe Gesù intercede davanti al Padre. Ci dà la misericordia a noi se ci avviciniamo e intercede per noi. Non dimenticare le piaghe di Gesù.” Il secondo dono del Risorto è la gioia, perché Giovanni racconta che “i discepoli gioirono al vedere il Signore”. Luca aggiunge che “non potevano credere per la gioia”. Come per noi, quando ci succede qualcosa di incredibile, di bello, così “i discepoli, non potevano credere per la gioia. Questa è la gioia che ci porta Gesù. Se tu sei triste, se tu non sei in pace, guarda Gesù crocifisso, guarda Gesù risorto, guarda le sue piaghe e prendi quella gioia.” Il terzo dono portato da Gesù ai discepoli è la missione, quando dice loro: “come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. La sua risurrezione “è l’inizio di un dinamismo nuovo di amore, capace di trasformare il mondo con la presenza dello Spirito Santo”. Ne consegue che siamo chiamati “ad accostarci con fede a Cristo, aprendo il nostro cuore alla pace, alla gioia e alla missione”, senza “dimenticare le piaghe di Gesù”, perché “da lì esce la pace, la gioia e la forza per la missione”.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.