Nel tormentato paese centroafricano uno spiraglio di pace viene dall’annuncio della formazione di un nuovo governo, frutto degli accordi raggiunti a febbraio in Sudan. Lo ha annunciato domenica 3 marzo la radio nazionale. Il Primo ministro del nuovo governo inclusivo sarà Firmin Ngrebada, ex direttore dell’ufficio del Presidente Tuadéra. L’esecutivo è composto da 36 ministri, di cui circa una ventina riconfermati dal precedente governo e con la presenza di sei dei 14 gruppi armati che hanno partecipato alla firma dell’accordo di pace a Khartoum. Tra essi, il Fronte Popolare per la rinascita del Centrafrica, lamenta l’assenza di importanti cambiamenti nel nuovo governo, in particolare che tutti i titolari dei portafogli strategici sono rimasti immutati. Il Frpc, cui sono stati attribuiti due ministeri, quello di Sviluppo, Energia e le Risorse idriche e quello di Acque e Foreste, non ha però precisato se intenda ritirarsi totalmente dall’accordo di pace.
L’accordo di pace è l’ottavo dall’inizio della crisi, sorta nel 2013 con sanguinosi scontri tra milizie Séléka e gruppi anti Balaka, seguiti da violenze di combattenti e movimenti armati. Ricco di risorse naturali, il Paese a causa della guerra ha visto quasi un quarto dei suoi abitanti fuggire dalle loro case a causa dei combattimenti tra i diversi gruppi che controllano l’80% delle province centrafricane.
“Si è arrivati alla designazione di un Primo ministro e un nuovo governo che non è poi molto nuovo – dice a Vatican news padre Aurelio Gàzzera, missionario carmelitano, che dal 1992 vive a Bozoum, città a 400 km a nord della capitale Bangui – perché ci sono molti ministri riconfermati e alcuni nuovi che fanno parte dei movimenti ribelli. E’ chiaro che un governo che ha già 36 ministri, un numero importante per un Paese come il Centrafrica, dove ci sono ministeri che si raddoppiano, è un governo che rischia di non portare granché di nuovo e l’introduzione dei gruppi armati non è che susciti molto entusiasmo”.
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