Mercoledì 12 dicembre, all’Udienza generale il Papa ha continuato la catechesi sul “Padre nostro”, evidenziando il tema: “Una preghiera che chiede con fiducia”. Egli ha ricordato che nel “Padre nostro” non “ci sono preamboli”, ma “confidenza” e “fiducia filiale”, affondando “le sue radici nella realtà concreta dell’uomo” come “il pane quotidiano: richiesta semplice ma essenziale, che dice che la fede non è una questione ‘decorativa’, staccata dalla vita, che interviene quando sono stati soddisfatti tutti gli altri bisogni. Semmai la preghiera comincia con la vita stessa. La preghiera – ci insegna Gesù – non inizia nell’esistenza umana dopo che lo stomaco è pieno: piuttosto si annida dovunque c’è un uomo, un qualsiasi uomo che ha fame, che piange, che lotta, che soffre e si domanda perché”. In un certo senso, “la nostra prima preghiera” è “stato il vagito che ha accompagnato il primo respiro”, un pianto in cui si annuncia “il destino di tutta la nostra vita: la nostra continua fame, la nostra continua sete, la nostra ricerca di felicità”. Il Signore “non vuole che smorziamo le domande e le richieste imparando a sopportare tutto. Vuole invece che ogni sofferenza, ogni inquietudine, si slanci verso il cielo e diventi dialogo.”
Dovremmo essere come il “cieco che mendicava alle porte di Gerico” che “voleva solo essere guarito”. Così “la preghiera non solo precede la salvezza, ma in qualche modo la contiene già, perché libera dalla disperazione di chi non crede a una via d’uscita da tante situazioni insopportabili. Non è vero che, come qualcuno pensava, la “preghiera di domanda sia una forma debole della fede”, a scapito della “lode pura, quella che cerca Dio senza il peso di alcuna richiesta”. Infatti “la fede [preghiera] di domanda è autentica! È spontanea! È un atto di fede in Dio che è il Padre, che è buono, che è onnipotente. È un atto di fede in me, che sono piccolo, peccatore, bisognoso. E per questo la preghiera, per chieder qualcosa, è molto nobile. Dio è il Padre che ha un’immensa compassione di noi, e vuole che i suoi figli gli parlino senza paura, direttamente: ‘Padre‘ o nelle difficoltà: ‘Ma Signore, cosa mi hai fatto?’. Direttamente. Per questo gli possiamo raccontare tutto, anche le cose che nella nostra vita rimangono distorte e incomprensibili.”
Domenica 16 dicembre, all’Angelus, il Papa ha parlato dell’invito alla gioia che caratterizza la terza domenica di Avvento. E’ la gioia di Dio che sempre perdona e riscatta chi lo ama, che è venuto ad abitare in mezzo a noi, che non respinge mai le nostre richieste, purché siamo “disposti a metterci in discussione”, a “convertirci”. E’ questo il primo passo da compiere nella preparazione al Natale che stiamo vivendo. Come ricorda il profeta Sofonia alla “piccola porzione del popolo di Israele”, Dio “perdona” e “non punisce”, ha un amore “incessante”, che è “paragonabile alla tenerezza di un padre per i figli, dello sposo per la sposa”; di conseguenza “non c’è più motivo di tristezza” e di “sconforto”. Un appello che si applica a “Gesù, l’Emmanuele, il Dio-con-noi”, la cui presenza è la “sorgente della gioia”, per cui “in un borgo sperduto della Galilea, nel cuore di una giovane donna ignota al mondo, Dio accende la scintilla della felicità per il mondo intero. E oggi lo stesso annuncio è rivolto alla Chiesa, chiamata ad accogliere il Vangelo perché diventi carne, vita concreta, e dice alla Chiesa, a tutti noi: ‘Rallegrati, piccola comunità cristiana, povera e umile ma bella ai miei occhi perché desideri ardentemente il mio Regno, hai fame e sete di giustizia, tessi con pazienza trame di pace, non insegui i potenti di turno ma rimani fedelmente accanto ai poveri. E così non hai paura di nulla ma il tuo cuore è nella gioia’. Se noi andiamo così, nella presenza del Signore, il nostro cuore sempre sarà nella gioia. La gioia di alto livello, quando c’è, piena e la gioia umile di tutti i giorni, cioè la pace. La pace è la gioia più piccola, ma è gioia.” Anche l’apostolo Paolo “ci esorta a non angustiarci senza speranza per nulla, ma in ogni circostanza far presenti a Dio le nostre richieste, le nostre necessità, le nostre preoccupazioni” certi che è sempre Lui a guidare la nostra vita. Infatti “la consapevolezza che nelle difficoltà possiamo sempre rivolgerci al Signore, e che Egli non respinge mai le nostre invocazioni, è un grande motivo di gioia. Nessuna preoccupazione, nessuna paura riuscirà mai a toglierci la serenità che viene non da cose umane, dalle consolazioni umane: no; la serenità che viene da Dio, dal sapere che Dio guida amorevolmente la nostra vita, e lo fa sempre. Anche in mezzo ai problemi e alle sofferenze, questa certezza alimenta la speranza e il coraggio.”
Ora l’invito del Signore alla gioia può essere accolto solo se siamo capaci di “metterci in discussione”, come quelli che chiedevano al Battista: “che cosa dobbiamo fare?”( Lc 3,10). E’ la domanda che ciascuno di noi deve porsi chiedendo aiuto a Maria, perché rappresenta “il primo passo per la conversione che siamo invitati a compiere in questo tempo di Avvento. Ognuno di noi si domandi: cosa devo fare? (…) E la Vergine Maria, che è nostra madre, ci aiuti ad aprire il nostro cuore al Dio-che-viene, perché Egli inondi di gioia tutta la nostra vita.”
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