Domenica 18 novembre, nella II Giornata mondiale dei poveri, celebrando l’Eucaristia in san Pietro, il Papa ha chiesto a tutti di “amare gratuitamente”, secondo l’esempio di Gesù. Nell’omelia ha ricordato che “l’ingiustizia è la radice perversa della povertà” ed “il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi”. Ha posto così in rilievo che “davanti alla dignità umana calpestata”, il cristiano non può restare “a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista”, ma deve tendere “la mano, come fa Gesù”.
Il discepolo di Cristo non può accontentarsi di “fare del bene solo” a pochi, perché “ricambiare è normale, ma Gesù chiede di andare oltre”, cioè “di dare a chi non ha da restituire, (…) gratuitamente”. Il grido dei poveri è quello “strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi. È il grido di anziani scartati e lasciati soli. È il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. È il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. È il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. È il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L’ingiustizia è la radice perversa della povertà.” Commentando un passo del Vangelo di Matteo (Mt 14, 22-33), Francesco ha messo a fuoco tre azioni che compie Gesù: lasciare la folla quando era “acclamato per aver moltiplicato i pani”, per andare sul monte a pregare, raggiungere nella notte i suoi discepoli “camminando sulle acque agitate dal vento” e “tendere la mano” a un Pietro “impaurito”, “nel mezzo della tempesta”. Infine ha ricordato che “l’inizio della fede” è “svuotarsi dell’orgogliosa convinzione di crederci a posto, capaci, autonomi”, riconoscendosi “bisognosi di salvezza”. Così la fede cresce in “un clima a cui ci si adatta stando insieme a quanti non si pongono sul piedistallo, ma hanno bisogno e chiedono aiuto. Per questo vivere la fede a contatto coi bisognosi è importante per tutti noi. Non è un’opzione sociologica, non è la moda di un pontificato, è un’esigenza teologica. È riconoscersi mendicanti di salvezza, fratelli e sorelle di tutti, ma specialmente dei poveri, prediletti dal Signore.”
All’Angelus Francesco ha ricorda che l’esistenza personale e dell’umanità ha un fine da raggiungere, l’incontro definitivo con Gesù, esortando a prestare attenzione a quanto abbiamo realizzato in questa vita credendo alla sua Parola. Riflettendo sul Vangelo domenicale ha messo in chiaro come sia “l’invito a vivere bene il presente”, sempre pronti “per quando saremo chiamati a rendere conto della nostra vita”. Infatti “in quell’incontro vedremo finalmente il suo Volto (…) raggiante di amore, di fronte al quale apparirà in totale verità anche ogni essere umano”. Sarà “più che mai il momento in cui abbandonarci definitivamente all’amore del Padre”. Ora “nessuno può sfuggire a questo momento, nessuno di noi! La furbizia, che spesso mettiamo nei nostri comportamenti per accreditare l’immagine che vogliamo offrire, non servirà più; alla stessa stregua, la potenza del denaro e dei mezzi economici con i quali pretendiamo con presunzione di comperare tutto e tutti, non potrà più essere usata. Avremo con noi nient’altro che quanto abbiamo realizzato in questa vita credendo alla sua Parola: il tutto e il nulla di quanto abbiamo vissuto o tralasciato di compiere. Con noi soltanto porteremo quello che abbiamo donato, quello che abbiamo dato.”
Dopo l’Angelus e la Messa il Pontefice ha pranzato nell’Aula Paolo VI in un momento di condivisione tenutosi al quale hanno partecipato circa 1.500 poveri accompagnati dal personale delle associazioni di volontariato.
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