Mercoledì 19 settembre, all’Udienza generale, il Papa ha centrato la sua catechesi sul quarto comandamento (“Onora tuo padre e tua madre”), esortando a riconciliarsi con la propria vita, non chiedendosi più “perché” , ma per quale missione “Dio mi ha forgiato attraverso la mia storia”.
Per questo bisogna “onorare i genitori” che “ci hanno dato la vita! Se tu ti sei allontanato dai tuoi genitori fa uno sforzo e torna, torna da loro, forse sono vecchi … Ti hanno dato la vita. E poi fra noi c’è l’abitudine di dire cose brutte, anche parolacce. Per favore, mai, mai, mai insultare i genitori altrui. Mai! Mai si insulta la mamma, mai insultare il papà. Mai! Mai! Fate voi questa decisione interna. Da oggi in poi mai insulterò la mamma o il papà di qualcuno. Gli hanno dato la vita! Non devono essere insultati.” E’ vero che l’impronta dell’infanzia segna tutta la vita, è come “un inchiostro indelebile” che si esprime nei gusti e nei comportamenti. Ma questo quarto comandamento “non richiede che i genitori siano perfetti” perché la promessa di felicità è legata ad un atto dei figli a prescindere di come sia stato chi ci ha messi al mondo. Infatti “parla di un atto dei figli, a prescindere dai meriti dei genitori, e dice una cosa straordinaria e liberante: anche se non tutti i genitori sono buoni e non tutte le infanzie sono serene, tutti i figli possono essere felici, perché il raggiungimento di una vita piena e felice dipende dalla giusta riconoscenza verso chi ci ha messo al mondo.”
Una Parola che è “costruttiva” per tante persone che vengono da storie di dolore. Tanti santi infatti “dopo un’infanzia dolorosa hanno vissuto una vita luminosa” perché “grazie a Gesù Cristo, si sono riconciliati con la vita”. Il Papa ha citato ad esempio il beato Sulprizio (che il prossimo mese sarà santo), morto giovanissimo, “riconciliato con tanti dolori”, e che mai aveva rinnegato i suoi genitori, come pure San Camillo de Lellis che “da un’infanzia disordinata costruì una vita di amore e servizio”, S.Giuseppina Bakhita, crescita in un’orribile schiavitù, e il beato Carlo Gnocchi “orfano e povero”, fino a San Giovanni Paolo II che perse la madre in giovane età. Dio fa rinascere dall’alto e “gli enigmi delle nostre vite si illuminano quando si scopre che Dio da sempre ci prepara ad una vita da figli suoi, dove ogni atto è una missione ricevuta da Lui”. La mia esperienza, anche triste e dolorosa, alla luce dell’amore come diventa per gli altri, per chi, fonte di salute: “allora possiamo iniziare a onorare i nostri genitori con libertà di figli adulti e con misericordiosa accoglienza dei loro limiti.”
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