Domenica 9 settembre, all’Angelus, il Papa, si è soffermato sulla guarigione del sordomuto da parte di Gesù, una guarigione dalla malattia e dall’emarginazione che coinvolge ciascuno di noi. Qui “Gesù agisce sempre con discrezione. Non vuole fare colpo sulla gente, Lui non è alla ricerca della popolarità o del successo, ma desidera soltanto fare del bene alle persone. Con questo atteggiamento, Egli ci insegna che il bene va compiuto senza clamori e, senza ostentazione, senza “far tuonare la tromba”. Va compiuto in silenzio.
Si è poi soffermato sul significato dei gesti di Cristo che mostrano sia la vicinanza all’umanità sia l’unione con Dio. Il mettere “le dita nelle orecchie del sordomuto”, toccandogli la lingua rimanda “all’Incarnazione. Il Figlio di Dio è un uomo inserito nella realtà umana: si è fatto uomo, pertanto può comprendere la condizione penosa di un altro uomo e interviene con un gesto nel quale è coinvolta la propria umanità. Al tempo stesso, Gesù vuol far capire che il miracolo avviene a motivo della sua unione con il Padre: per questo, alzò lo sguardo al Cielo.” Così la guarigione fu per il sordomuto “un’apertura agli altri e al mondo”. Francesco ha parlato di una “duplice guarigione”: la “guarigione dalla sofferenza fisica”, che “nonostante tanti sforzi della scienza (…) non è completamente raggiungibile nell’orizzonte terreno” e la “guarigione forse più difficile”, quella dalla “paura” che “ci spinge ad emarginare l’ammalato, emarginare il sofferente, il disabile”. Infatti “ci sono molti modi di emarginare, anche con una pseudo pietà o con la rimozione del problema; si resta sordi e muti di fronte ai dolori delle persone segnate da malattie, angosce e difficoltà. Troppe volte l’ammalato e il sofferente diventano un problema, mentre dovrebbero essere occasione per manifestare la sollecitudine e la solidarietà di una società nei confronti dei più deboli.
Di qui l’incoraggiamento a diventare anche noi protagonisti dell'”Effatà”:”si tratta di aprirci alle necessità dei nostri fratelli sofferenti e bisognosi di aiuto, rifuggendo l’egoismo e la chiusura del cuore. È proprio il cuore, cioè il nucleo profondo della persona, che Gesù è venuto ad «aprire», a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Egli si è fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, possa ascoltare la voce di Dio, la voce dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell’amore, traducendolo in gesti di generosità e di donazione di sé.”
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