Una martire italiana, missionaria dei giorni nostri, un esempio ed un incoraggiamento nella scelta dei poveri, nell’amore fattivo, nella gioia di evangelizzare e testimoniare. Parlo di suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata uccisa il 17 settembre 2006 a Mogadiscio (aveva 65 anni) e proclamata beta il 26 maggio scorso nella Cattedrale di Piacenza.
Una religiosa suora vittima inerme dell’odio di un fanatico islamista nelle giornate delle strumentalizzazioni sulle parole pronunciate da Benedetto XVI a Ratisbona. “Il martire cristiano – ha detto, presiedendo il rito, il card. Angelo Amato, prefetto uscente della Congregazione per le Cause dei santi – non è un fanatico distruttore, ma un difensore della vita, un messaggero di fraternità umana, di carità, di perdono”. Sr Leonella, infatti, morendo, ha ripetuto “perdono, perdono, perdono”, sintesi di una vita spesa per l’Africa, dove per 36 anni ha vissuto all’insegna del bene compiuto senza far rumore e della riconciliazione.
Nella cattedrale di Piacenza a rendere testimonianza al suo impegno c’erano mons. Gianni Ambrosio (vescovo della diocesi piacentina, dove suor Leonella era nata), mons. Mario Delpini (arcivescovo di Milano), il card. John Njue (arcivescovo di Nairobi, in rappresentanza di un altro Paese che suor Leonella aveva a lungo servito, mons. Luigi Bianco (nunzio apostolico in Etiopia e delegato apostolico in Somalia), mons. Giorgio Bertin (vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio). Significativa la presenza in Duomo di un rappresentante del governo somalo, l’ambasciatore alla Fao Ibrahim Abdulkadir Hagi.
La vita di suor Sgorbati è infatti inseparabile dalle sofferenze di questo martoriato Paese: “sr Leonella – ha ricordato nell’omelia il card. Amato -ha bagnato col suo sangue benedetto la terra somala, prima pacifico territorio dell’Africa Orientale oggi luogo di desolazione e di morte. Negli ultimi decenni la presenza della Chiesa cattolica qui è stata brutalmente cancellata, con la cacciata dei missionari, la repressione dei fedeli e le uccisioni cruente e ingiustificate di testimoni della fede come mons. Salvatore Colombo, primo vescovo di Mogadiscio, il missionario francescano Pietro Turati, il medico Graziella Fumagalli, la missionaria laica Annalena Tonelli”.
Suor Leonella (al secolo Rosa Maria Sgorbati) era nata a Rezzanello, sulle colline piacentine, il 9 dicembre 1940, ma a dieci anni si era trasferita con la famiglia si trasferisce a Sesto San Giovanni. Fu attivissima nella sua parrocchia (San Giuseppe) dove maturò la sua vocazione missionaria ascoltando in oratorio le testimonianze di sacerdoti e suore della Consolata. Così entrò nell’Istituto a 20 anni e, dopo un periodo di studi in Inghilterra, per impoare l’inglese fu mandata in Kenya nel 1970. Passerà in Africa 36 anni, come infermiera, ostetrica (farà nascere oltre quattromila bambini) e direttrice di scuole per infermieri. Nel 2001 accettò la sfida dell’ong “SOS Villaggio dei Bambini” di avviare una scuola per infermieri a Mogadiscio. In quella terra sole le Missionarie della Consolata erano rimaste dopo la caduta del dittatore Siad Barre dieci anni prima. Suor Leonella la vince accompagnando gli allievi negli studi e spronandoli a dare il meglio perché li vuole protagonisti della ricostruzione della Somalia. Cresce attorno a sé l’ostilità dei fondamentalisti, che non vedono di buon occhio questa suora che passa tanto tempo con i giovani, ma lei crede nel dialogo tra fedi e culture. “Dove c’è paura – ripete – non c’è amore.”
“Il martirio di suor Leonella – ha ancora detto il card. Amato – è un seme di speranza sparso sulla terra dell’uomo che porterà fiori e frutti di bene. È un dono che genera pace e fratellanza. Invita a deporre le armi e a trasformarle in strumento di lavoro e di pace”.
All’indomani del martirio di suor Sgorbati, l’allora madre generale delle religiose della Consolata, suor Gabriella Bono, scriveva alle consorelle: “Insieme a suor Leonella – raccontava – un somalo, un uomo musulmano, Mohammed, sposo e padre di quattro figli, ha versato il suo sangue nel tentativo di salvarla. Suor Leonella e Mohammed sono uniti per sempre nel dono della vita”.
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