Sono passati quattro anni in Iraq, da quando i cristiani furono costretti a fuggire per la violenza del sedicente Stato Islamico. Infatti era la notte tra il 6 e il 7 agosto del 2014, quando 120.000 cristiani dell’Iraq furono costretti a fuggire dalle loro terre nella Piana di Ninive, sulle rive del fiume Tigri. A partire da quegli istanti infatti la furia dei miliziani del sedicente Stato Islamico devastò oltre 13.000 abitazioni, di cui 1.233 totalmente distrutte. Sono i dati forniti dal Comitato per la ricostruzione di Ninive, istituito nel 2017 dalle Chiese caldea, siro-cattolica e siro-ortodossa d’Iraq con la collaborazione di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).
“Decine di migliaia di persone – ha detto a Vatican news don Georges Jahola, sacerdote siro-cattolico della diocesi di Mosul-Kirkuk-Kurdistan, a capo del Comitato per la ricostruzione di Bakhdida-Qaraqosh – con il caldo che c’è in agosto, in questo periodo, si sono ritrovate in lunghe file ai posti di controllo del Kurdistan, perché quella è la regione più vicina, quindi la gente è fuggita lì, a Erbil, ma anche in altre città curde. Sono stati momenti terribili, anche psicologicamente e non soltanto fisicamente.”
Ora si assiste ad una rinascita della zona: secondo Acs, sono 8.815 le famiglie rientrate, più del 44% delle 19.452 costrette a fuggire a causa dell’invasione dei jihadisti. Sul terreno la situazione pare cambiata: a dicembre il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha annunciato la “vittoria finale” sull’Is, ribadita anche recentemente dal presidente statunitense Donald Trump, nonostante non cessino assassinii, rapimenti e attentati in alcune aree remote del Paese.
“Senza l’aiuto di tante organizzazioni – aggiunge don Georges – e soprattutto di Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ci ha assistito sia quando eravamo nella diaspora sia anche in questo momento di ritorno, sarebbe stato impossibile tornare con un filo di speranza. Questi aiuti che abbiamo ricevuto sono stati essenziali per ricominciare la vita e dare speranza alla gente, soprattutto per le case, perché senza casa le famiglie non possono tornare, soprattutto se l’edificio è stato bruciato o danneggiato da atti vandalici. Abbiamo documentato tutto, abbiamo fatto una stima dei costi e siamo riusciti a presentare questa stima alle organizzazioni, soprattutto ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che si coordina con tutte le chiese, fino a presentare un piano per cominciare la fase della ricostruzione.”
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