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LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
Sulle orme di mons. Tonino Bello, il prete e vescovo della Chiesa del grembiule, a 25 anni dalla sua morte.; è il pellegrinaggio che il Papa ha compito venerdì 21 aprile in Puglia, testimoniando il dovere e assieme la bellezza di stare accanto agli ultimi.
La prima tappa è stata Alessano, nel Leccese, sua terra natale, dove “don Tonino” (come tutti fraternamente lo chiamavano) è sepolto. Incontrando i fedeli ha messo in rilievo come don Tonino ci dia “la ricchezza incomparabile di capire i poveri” e servirli. Questa “era per lui vera ricchezza. Aveva ragione, perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa. Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda.” Non a caso, mons. Bello sottolineava come il Vangelo chiami a una vita spesso “scomoda”, perché ”una Chiesa che ha a cuore i poveri rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo e sente di dover tornare all’essenziale per professare con coerenza che il Signore è l’unico vero bene. Per questo, nella fedeltà al suo insegnamento, bisogna non “teorizzare” la vicinanza ai poveri ma star loro vicino, seguendo l’esempio di Gesù “fino a spossessarsi di sé”. Don Tonino “non stava con le mani in mano”, ma “agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia. Infatti, se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione.” Poi, l’auspicio che questa terra di “frontiera” o “terra-finestra”, dal Sud dell’Italia si spalanchi “ai tanti Sud del mondo”, dove “i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno”. Significa essere una “finestra aperta, da cui osservare tutte le povertà che incombono sulla storia”, soprattutto “una finestra di speranza perché il Mediterraneo, storico bacino di civiltà, non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente.” Così ha auspicato “che il Signore ci dia questa grazia: una Chiesa non mondana, al servizio del mondo. Una Chiesa monda di autoreferenzialità” ed “estroversa, protesa, non avviluppata dentro di sé, non in attesa di ricevere, ma di prestare pronto soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa d’amore per l’oggi, sull’esempio di Dio, che ha tanto amato il mondo.” Don Tonino era un “credente con i piedi per terra e gli occhi al Cielo” e soprattutto “con un cuore che collegava Cielo e terra”. Per questo parlava della vocazione come “evocazione” a indicare “una chiamata a diventare non solo fedeli devoti, ma veri e propri innamorati del Signore, con l’ardore del sogno, lo slancio del dono, l’audacia di non fermarsi alle mezze misure”, per cui “quando il Signore incendia il cuore, non si può spegnere la speranza. Quando il Signore chiede un ‘sì’, non si può rispondere con un ‘forse’”. Soleva dire “che noi cristiani ‘dobbiamo essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione’, della gente che non separa mai preghiera e azione.”
A Molfetta, dove ha esercitato il suo ministero episcopale fino alla morte, ha celebrato l’Eucaristia, invitando ad “entrare in una relazione vitale, personale” con Gesù, attingendo dall’Eucaristia che non è “un bel rito, ma la comunione più intima, più concreta, più sorprendente che si possa immaginare con Dio”. La vita del cristiano parte dall’Eucaristia, come diceva don Tonino: ‘se manca l’amore da cui partono le opere, se manca il punto di partenza che è l’Eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una girandola di cose’. Infatti “chi si nutre dell’Eucaristia assimila la stessa mentalità del Signore”, come Lui diventa pane spezzato per gli altri, “smette di vivere per sé, ma vive per Gesù e come Gesù, cioè per gli altri. Vivere per è il contrassegno di chi mangia questo Pane, il marchio di fabbrica del cristiano. Si potrebbe esporre come avviso fuori da ogni chiesa: dopo la Messa non si vive più per sé stessi, ma per gli altri. (…). ‘Dopo la Messa non si vive più per sé stessi, ma per gli altri’. Don Tonino ha vissuto così.” Don Tonino Bello diceva che ‘l ‘Eucarestia non sopporta la sedentarietà’ e che senza alzarsi da tavola resta ‘un sacramento incompiuto’. Allora il Papa si è chiesto: “in me, questo Sacramento si realizza? Più concretamente: mi piace solo essere servito a tavola dal Signore o mi alzo per servire come il Signore? Dono nella vita quello che ricevo a Messa? E come Chiesa potremmo domandarci: dopo tante Comunioni, siamo diventati gente di comunione?(…) E noi, che condividiamo questo Pane di unità e di pace, siamo chiamati ad amare ogni volto, a ricucire ogni strappo; ad essere, sempre e dovunque, costruttori di pace.” Don Tonino Bello spesso ripeteva: ‘in piedi’ e Francesco ha invitato a rischiare la vita per Gesù: “la vita cristiana va investita per Gesù e spesa per gli altri. Dopo aver incontrato il Risorto non si può attendere, non si può rimandare; bisogna andare, uscire, nonostante tutti i problemi e le incertezze.”
Gian Paolo Cassano
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