LUCIEN BOTOVASOA

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NUOVI SANTI
a cura di Gian Paolo Cassano

E’ il primo beato del Madagascar, martire (ucciso il 14 aprile 1947 ) perché cristiano nel periodo di persecuzioni che accompagnò l’indipendenza dell’isola. E’ Lucien Botovasoa, maestro elementare, padre di famiglia, terziario francescano, è stato elevato agli onori degli altari nella sua Vohipeno domenica 15 aprile, nella celebrazione presieduta (in rappresentanza del Papa) dal card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.
Lucien è stato un frutto dolce e rigoglioso dell’annuncio missionario, iniziato nel 1899, una decina di anni prima della sua nascita. I missionari capiscono subito che è uno speciale, così dopo gli studi dai Gesuiti, mise a disposizione della sua gente e della Chiesa le sua qualità di maestro, ma anche di musicista eccezionale e grande sportivo. Colto, poliglotta, era amato dai suoi allievi che lo soprannominarono “u be pikopiko” (cioè seme rosso), perché lo vedevano sempre intento a sgranare il Rosario. “Lucien insegnava a fare il bene, a vivere in pace con il prossimo, a formare una comunità fraterna, accogliente e rispettosa – ha detto il card. Amato – all’odio rispondeva con la carità, alla divisione con la comunione, alla menzogna con la verità, al male con il bene. Era un autentico maestro di vita buona: buon cittadino, padre affettuoso, sposo premuroso”.
Si riconobbe nella vocazione al matrimonio vivendo con pienezza la sua fede, anticipando di fatto di almeno vent’anni l’apertura al ruolo dei laici e la dimensione di santità nella quotidianità.
Come Terziario Francescano capì di potere vivere all’interno del matrimonio una dimensione di consacrazione, con una povertà ed una pietà straordinarie: “abbandona i bei vestiti – aggiunge il Prefetto – e si accontenta di semplici sandali, della camicia e dei pantaloni, digiuna il mercoledì e il venerdì. Si alza a mezzanotte per pregare in ginocchio, poi si reca in chiesa verso le quattro, restandovi fino all’ora della Messa. Francescano nell’anima, è sempre gioioso, prega continuamente, dovunque vada ha sempre il Rosario in mano”.
Non si interessava di politica, ma al soffiare dei venti indipendentisti, in Madagascar i cattolici vennero visti come conniventi con il colonialismo francese, e perciò perseguitati. Così durante la Settimana Santa del 1947 molte chiese furono date alle fiamme e molti fedeli raggiunti e uccisi. Lucien venne catturato e processato sommariamente; condotto sul greto del fiume Matitanana, dove venivano abbattuti i buoi, chiese: “Perché volete uccidermi?”. “Perché sei cristiano”, fu la risposta. “Allora potete farlo – disse – non mi difenderò. Che il mio sangue su questa terra salvi la mia patria”. Il suo corpo fu gettato nel fiume.
Diciassette anni dopo, uno dei suoi aguzzini, in punto di morte, fece chiamare un sacerdote perché sentiva irrefrenabile il desiderio di essere battezzato prima del trapasso: “Botovasoa mi promise che sarebbe stato con me quando ne avessi avuto bisogno. Ora sento che è presente”.
La testimonianza del giovane maestro malgascio è più forte e dirompente di tutti i suoi insegnamenti a parole: “Egli ci insegna – conclude il card. Amato – a vivere integralmente il Vangelo che è il libro della vita e non della morte, dell’amore e non dell’odio, della fraternità e non della discriminazione; a noi lascia un grande esempio e un’importante eredità: il perdono del prossimo, il perdono anche dei nemici, e l’invito a vivere in fraternità e in pace con tutti”.
Gian Paolo Cassano

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