La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Continuando il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana il Papa, nell’udienza generale di mercoledì 23 agosto si è concentrato sulle parole dell’Apocalisse: “Ecco io faccio nuove tutte le cose!”. Infatti, è sulla fede in Dio che crea novità, che si basa la speranza cristiana. “il nostro” è il “Dio delle sorprese”. Perciò “non è cristiano camminare con lo sguardo rivolto verso il basso, come fanno i maiali: (…) senza alzare gli occhi all’orizzonte”, quasi che “tutto il nostro cammino si spegnesse qui, (…) come se nella nostra vita non ci fosse nessuna meta e nessun approdo, e noi fossimo costretti ad un eterno girovagare”. L’Apocalisse indica che l’orizzonte ultimo del credente è “la Gerusalemme celeste”, come un’immensa “tenda” dove Dio “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. Francesco ha applicato quest’immagine alla cronaca di questi giorni, a tante notizie tristi e preoccupanti, (come ad esempio al Congo o a Barcellona), alle quali si rischia di assuefarsi.
Ora “c’è un Padre che piange lacrime di infinta pietà nei confronti dei suoi figli”, che “ci aspetta per consolarci” e ha preparato per noi un futuro diverso. “Questa è la grande visione della speranza cristiana”, perché Dio “ci ha creati perché ci vuole felici”. Egli “lavora per riscattarci” e quindi “la morte e l’odio non sono le ultime parole” sull’esistenza umana. Allora essere cristiani implica uno sguardo pieno di speranza.
Vivere non è, come ritengono alcuni, “un lento decadimento”, un non senso, con gioie passeggere.
I cristiani credono che all’orizzonte vi sia “un sole che illumina per sempre” e che i giorni più belli debbano ancora venire. Di qui gli interrogativi posti dal Papa esortando a domandarsi, nel proprio cuore, se siamo gente di primavera o di autunno: “Di primavera, che aspetta il fiore, che aspetta il frutto, che aspetta il sole che è Gesù, o di autunno, che è sempre con la faccia guardando in basso, amareggiato e, come a volte ho detto, con la faccia dei peperoncini all’aceto?” Nella vita ci sono problemi, guerre, malattie ma, alla fine, il male sarà eliminato e Gesù, che già da ora “ci consola”, ci attende per condurci alla grande tenda di Dio con gli uomini e scoprire che niente è andato perduto, nessun sorriso e nessuna lacrima. Anzi, nell’istante stesso in cui Dio pronuncerà la sua ultima parola di benedizione, si estingueranno le lacrime: ‘Ecco, io faccio nuove tutte le cose!’. E quel giorno– “piangeremo”, ma di gioia.
All’Angelus domenica 27 agosto, Francesco si è riferito al Vangelo del giorno come la verifica della fede dei discepoli, che poggia sul dono del Padre, ed il mandato a Pietro ad essere la “pietra” su cui Cristo edificherà la Sua Chiesa. Così “anche con noi, oggi, Gesù vuole continuare a costruire questa casa con fondamenta solide”. Francesco ha guardato alle “crepe” dell’edificio ecclesiale, che “non mancano”, e alla necessità di continue riparazioni, perché “la Chiesa sempre ha bisogno di essere riformata, riparata”. Ora noi siamo “solo delle piccole pietre. Tuttavia, nessuna piccola pietra è inutile, anzi, nelle mani di Gesù la più piccola pietra diventa preziosa”.
Ha sottolineato poi la tenerezza di Dio: infatti ognuno è collocato “nel posto giusto”, per essere una pietra viva, con “una missione nella Chiesa” che è “comunità di vita, fatta di tantissime pietre, tutte diverse, che formano un unico edificio nel segno della fraternità e della comunione”. Ha ricordato infine il martirio dei S.S. Apostoli Pietro e Paolo, e come Gesù abbia voluto “per la sua Chiesa un centro visibile di comunione in Pietro e in coloro che gli sarebbero succeduti”, i “Vescovi di Roma”, nella città dove “Pietro e Paolo hanno reso la testimonianza del sangue”.
Gian Paolo Cassano

Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.