Domenica 14 maggio al Regina Coeli il Papa ha ricordato il suo pellegrinaggio a Fatima, rimarcando il “bisogno di preghiera e di penitenza” per mettere fine alle guerre. Il Pontefice ha messo in luce che la santità di Francesco e Giacinta “non è conseguenza delle apparizioni, ma della fedeltà e dell’ardore con cui essi hanno corrisposto al privilegio ricevuto di poter vedere la Vergine Maria”. Con la loro canonizzazione ha “voluto proporre a tutta la Chiesa di avere cura dei bambini”. Così l’esempio di Francesco e Giacinta, che a quel tempo pregavano per la fine della Prima Guerra Mondiale, è valido tutt’ora “per implorare la grazia della conversione, per implorare la fine di tante guerre che sono dappertutto nel mondo e che si allargano di più, come pure la fine degli assurdi conflitti grandi e famigliari, piccoli, e delle violenze che sfigurano il volto dell’umanità”. Francesco ha affidato a Maria, Regina della pace, “la sorte delle popolazioni afflitte da guerre e conflitti, in particolare in Medio Oriente”. Infatti “tante persone innocenti sono duramente provate, sia cristiane, sia musulmane, sia appartenenti a minoranze come gli yazidi, i quali subiscono tragiche violenze e discriminazioni”: di qui l’incoraggiamento a “quanti si impegnano a sovvenire ai bisogni umanitari. Incoraggio le diverse comunità a percorrere la strada del dialogo e della riconciliazione amicizia sociale per costruire un futuro di rispetto, di sicurezza e di pace, lontano da ogni sorta di guerra”.
Dio “non è inerte” ma “sogna la trasformazione del mondo” nel mistero della Risurrezione. E’ quanto ha spiegato il Papa Francesco all’udienza generale di mercoledì 17 maggio, soffermandosi sulla figura di Maria Maddalena, nella riflessione sulla speranza cristiana. Infatti, come per Maria Maddalena, l’incontro con Gesù risorto trasforma la nostra tristezza in gioia. Intorno a Gesù tante persone cercano Dio ma la realtà più prodigiosa è che è anzitutto Dio che ci cerca: “ogni uomo è una storia di amore che Dio scrive su questa terra. Ognuno di noi è una storia di amore di Dio. Ognuno di noi Dio chiama con il proprio nome: ci conosce per nome, ci guarda, ci aspetta, ci perdona, ha pazienza con noi.” I Vangeli descrivono la felicità di Maria Maddalena nell’incontro con il Risorto, perché la Risurrezione non è data col “contagocce” ma è una cascata che investe tutta la vita. “Gesù non è uno che si adatta al mondo, tollerando che in esso perdurino la morte, la tristezza, l’odio, la distruzione morale delle persone… Il nostro Dio non è inerte, ma il nostro Dio – mi permetto la parola – è un sognatore: sogna la trasformazione del mondo, e l’ha realizzata nel mistero della Risurrezione”. Poi Maria Maddalena è invitata a portare l’annuncio ai fratelli, diventando “apostola della nuova e più grande speranza”. Ha cambiato vita perché ha visto il Signore! “Questa è la nostra forza e questa è la nostra speranza”. Lei ci insegna a perseverare nel cercare l’incontro con il Risorto, “a non permettere all’amarezza della morte e del lutto di spegnere in noi il desiderio di incontrare Gesù; e a lasciare che il Suo incontro trasformi la nostra tristezza in gioia e a trasformarci in suoi testimoni. L’incontro con il Risorto ci risuscita e ci aiuta a far risuscitare gli altri dai sepolcri oscuri dell’incredulità”.
Domenica 21 maggio, al Regina Coeli, ha invitato i cristiani ad amarsi, sull’esempio del Signore, ricordando il sanguinoso conflitto in atto nella Repubblica Centrafricana, chiedendo che si fermi lo scontro armato. Ora “non è mai facile, non è mai scontato”, neanche per i cristiani, saper amare, volere bene “sull’esempio del Signore e con la sua grazia”, ma questo è il più grande comandamento del Vangelo. Riflettendo sul Vangelo domenicale, “meditando queste parole di Gesù, noi oggi percepiamo con senso di fede di essere il popolo di Dio in comunione col Padre e con Gesù mediante lo Spirito Santo. In questo mistero di comunione, la Chiesa trova la fonte inesauribile della propria missione, che si realizza mediante l’amore”. E’ l’amore che ci fa conoscere Gesù, e “l’amore a Dio e al prossimo è il più grande comandamento del Vangelo”; così “il Signore ci chiama a corrispondere generosamente alla chiamata evangelica all’amore, ponendo Dio al centro della nostra vita e dedicandoci al servizio dei fratelli, specialmente i più bisognosi di sostegno e di consolazione”. Ma “se c’è un atteggiamento che non è mai facile, non è mai scontato anche per una comunità cristiana, è proprio quello di sapersi amare, di volersi bene sull’esempio del Signore e con la sua grazia. A volte i contrasti, l’orgoglio, le invidie, le divisioni lasciano il segno anche sul volto bello della Chiesa. Una comunità di cristiani dovrebbe vivere nella carità di Cristo, e invece è proprio lì che il maligno ‘ci mette lo zampino’ e noi a volte ci lasciamo ingannare”. A fare le spese di questo atteggiamento “sono le persone spiritualmente più deboli”, che si allontanano perché non si sentono “accolte, capite e amate”. Saper amare non è mai un dato acquisito una volta per tutte, ma “ogni giorno si deve imparare l’arte di amare, ogni giorno si deve seguire con pazienza la scuola di Cristo, ogni giorno si deve perdonare e guardare Gesù, e questo con l’aiuto di questo avvocato di questo consolatore che Gesù ci ha inviato che è lo Spirito Santo”.
Il Papa ha poi annunciato che il prossimo 28 giugno nominerà cinque nuovi cardinali, provenienti da diverse parti del mondo: Mons. Jean Zerbo (arcivescovo di Bamako, nel Mali), Mons. Juan José Omella (arcivescovo di Barcellona, Spagna), Mons. Anders Arborelius (vescovo di Stoccolma, Svezia), Mons. Luis Marie-Ling Mangkhanekhoun (vescovo titolare di Acque Nuove di Proconsolare, vicario apostolico di Paksé, nel Laos) e Mons. Gregorio Rosa Chávez (vescovo titolare di Mulli, ausiliare dell’arcidiocesi di San Salvador, a El Salvador). “La loro provenienza da diverse parti del mondo manifesta la cattolicità della Chiesa diffusa in tutta la terra e l’assegnazione di un titolo o una diaconia nell’urbe esprime l’appartenenza dei cardinali alla diocesi di Roma che, secondo la nota espressione di Sant’Ignazio, ‘presiede alla carità di tutte le Chiese’”.
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