La Parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Due giorni, in un viaggio intenso, ma carico di speranza: è il viaggio in Egitto che il Papa ha compiuto venerdì 28 e sabato 29 aprile. Quattro i momenti fondamentali: il primo il dialogo interreligioso con l’Islam, il secondo con le autorità civili, il terzo il dialogo ecumenico con il patriarca copto Tawadros II ed infine l’incontro con i cattolici egiziani.
E’ stato un “viaggio di unità e fratellanza” che è iniziato all’insegna del dialogo interreligioso. Nel pomeriggio del 28 aprile, infatti ha partecipato al Cairo all’Università di Al Azhar, la più grande istituzione teologica e di istruzione religiosa dell’Islam sunnita, alla Conferenza internazionale sulla pace, dove è stato accolto dal Grande Imam Shaykh Ahmad Al-Tayeb, figura di grande rilievo nella giurisprudenza islamica.Il Grande Imam ha sottolineato come la civiltà moderna si sia allontanata dalla religione e come questo abbia provocato una perdita di valori etici, tra cui quelli della fratellanza umana, della comprensione reciproca e della misericordia, respingendo con forza qualsiasi associazione tra Islam e terrorismo. Nel suo intervento, Papa Francesco, ha individuato nella corretta formazione ed istruzione una delle chiavi fondamentali per la costruzione della pace: “educare all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro, riconoscendone i diritti e le libertà fondamentali, specialmente quella religiosa, costituisce la via migliore per edificare insieme il futuro, per essere costruttori di civiltà. Perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro”. Tutti, cristiani e musulmani, sono chiamati a questa sfida di civiltà e l’Egitto, terra plurisecolare di incontro tra fedi e culture, può diventare un laboratorio privilegiato per sperimentare questa alleanza per il bene comune. E’ il ruolo fondamentale delle religioni, perché la violenza “è la negazione di ogni autentica religiosità. In quanto responsabili religiosi, siamo dunque chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità, facendo leva sull’assolutizzazione degli egoismi anziché sull’autentica apertura all’Assoluto. Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio: il suo nome è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam”.
E’ chiaro che “nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome” ed  “oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di armi; oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione”. Per questo “è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza”.
Incontrando poi il presidente egiziano Al Sisi e le altre autorità civili ha messo in rilievo come l’Egitto abbia un compito “singolare”, quello di “rafforzare e consolidare” la pace regionale, perché proprio tali violenze fanno soffrire ingiustamente tante famiglie “che piangono i loro figli e figlie”. Infatti “abbiamo il dovere di smontare le idee omicide e le ideologie estremiste, affermando l’incompatibilità tra la vera fede e la violenza, tra Dio e gli atti di morte. (…) Abbiamo il dovere di smascherare i venditori di illusioni circa l’aldilà, che predicano l’odio per rubare ai semplici la loro vita presente e il loro diritto di vivere con dignità, trasformandoli in legna da ardere e privandoli della capacità di scegliere con libertà e di credere con responsabilità”.
Assai significativo e fraterno è stato l’incontro con Tawadros II, al Patriarcato copto ortodosso, un momento di comunione, suggellato da una preghiera ecumenica alla presenza anche del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e di altri capi di confessioni cristiane. Al termine dell’incontro il Papa e Tawadros II hanno firmato una Dichiarazione congiunta. Francesco ha chiesto comuni iniziative di carità per costruire un cammino verso una piena comunione: “non possiamo più pensare di andare avanti ciascuno per la sua strada” perché tradiremmo la volontà del Signore, che i suoi siano tutti una cosa sola. C’è “una comunione già effettiva”, che “si fonda sul nostro Battesimo”; da qui occorre ripartire “per affrettare il giorno tanto desiderato in cui saremo in piena e visibile comunione all’altare del Signore”. Insieme, Copti ortodossi e Cattolici, possono sempre più parlare la “lingua comune della carità. (…) Così, edificando la comunione nella concretezza quotidiana della testimonianza vissuta, lo Spirito non mancherà di aprire vie provvidenziali e impensate di unità”. E poi l’ecumenismo del sangue. “Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo” hanno versato il sangue piuttosto che cedere alla tentazione di rispondere con il male al male, anche recentemente: “unico è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente ci unisce. Rinforzati dalla vostra testimonianza, adoperiamoci per opporci alla violenza predicando e seminando il bene, facendo crescere la concordia e mantenendo l’unità, pregando perché tanti sacrifici aprano la via a un avvenire di comunione piena tra noi e di pace per tutti”. Il Pontefice ha ricordato il cammino fatto in questi anni fino alla promozione di una Giornata di amicizia copto-cattolica (che dal 2013 si celebra il 10 maggio) con l’invito a ripartire insieme come “pellegrini di comunione e annunciatori di pace”. Tawadros ha sottolineato l’importanza della visita del Pontefice e dell’unità che rappresenta la più chiara testimonianza di Cristo da offrire al mondo di oggi e che ha seguito le orme del Poverello di Assisi: “quasi mille anni fa anche lui si fermò in Egitto e insieme al Sultano Al Kamel fece una delle più importanti esperienze di dialogo interculturale nella storia.”
Sabato 29 aprile, nello Stadio dell’Aeronautica egiziana gremito di fedeli Papa Francesco ha celebrato la S. Messa; erano presenti almeno 25.000 persone, cattolici dei vari riti presenti in Egitto, ma anche copti ortodossi e musulmani. Il Papa ha ricordato che la Chiesa nasce dalla fede nella Risurrezione e la vera fede è quella che ci rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani, che ci porta a difendere e a vivere la cultura del dialogo, del rispetto e della fratellanza. “La vera fede è quella che ci porta proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri. In realtà, più si cresce nella fede e nella conoscenza, più si cresce nell’umiltà e nella consapevolezza di essere piccoli”. La fede gradita a Dio è solo quella professata con la vita, perché “l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità”. Di qui l’invito: “non abbiate paura di aprire il vostro cuore alla luce del Risorto e lasciate che Lui trasformi la vostra incertezza in forza positiva per voi e per gli altri. Non abbiate paura di amare tutti, amici e nemici, perché nell’amore vissuto sta la forza e il tesoro del credente!” Al termine della celebrazione liturgica il Patriarca di Alessandria dei copti cattolici, Ibrahim Isaac Sedrak, ha ringraziato a nome di tutta la Chiesa cattolica in Egitto.
Venerdì sera, ha salutato e benedetto un gruppo di giovani venuti da tutto il paese per incontralo, riconoscendo il oro coraggio e spronandoli al bene. Sabato, al termine della sua visita ho poi incontrato il clero, i religiosi e i seminaristi, in un Paese dove oggi è difficile predicare il Vangelo e la minaccia del terrorismo è fortemente presente. Francesco, di fronte a queste prove, esorta a superare scoraggiamento, negatività e disperazione: “siate una forza positiva, siate luce e sale di questa società; siate il locomotore che traina il treno in avanti, diritto verso la mèta; siate seminatori di speranza, costruttori di ponti e operatori di dialogo e di concordia”. Egli ha elencato una serie di tentazioni alle quali i consacrati devono resistere: quella di lasciarsi trascinare e non guidare, quella di lamentarsi continuamente, per le mancanze altrui, le condizioni difficili e le scarse possibilità, quella del pettegolezzo e dell’invidia o del paragonarsi con gli altri. E ancora bisogna guardarsi da un’altra pericolosa tentazione, quella “del ‘faraonismo’, cioè dell’indurire il cuore e del chiuderlo al Signore e ai fratelli. È la tentazione di sentirsi al di sopra degli altri e quindi di sottometterli a sé per vanagloria; di avere la presunzione di farsi servire invece di servire”.
Infine, il consacrato non deve cadere nella tentazione del camminare senza bussola e senza meta: se “perde la sua identità e inizia a non essere ‘né carne né pesce’. Vive con cuore diviso tra Dio e la mondanità. Dimentica il suo primo amore”. Il punto di riferimento rimane per tutti Gesù: “più siamo radicati in Cristo, più siamo ricchi e fecondi”. Guardando a Cristo si apre la strada giusta del servizio a Dio, alla Chiesa e agli altri, per “essere luce e sale, motivo cioè di salvezza per voi stessi e per tutti gli altri, credenti e non, e specialmente per gli ultimi, i bisognosi, gli abbandonati e gli scartati”.
Gian Paolo Cassano

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