LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
All’udienza generale di mercoledì 4 gennaio, proseguendo il tema della speranza cristiana, Francesco ha presentato la figura biblica di Rachele che piange i suoi figli in esilio. Nella citazione di Geremia, attraverso Rachele viene presentata una realtà, “di dolore e di pianto, ma insieme con una prospettiva di vita impensata”. Infatti “davanti alla tragedia della perdita dei figli, una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata. Un dolore proporzionale all’amore. Ogni madre sa tutto questo; e sono tante, anche oggi, le madri che piangono, che non si rassegnano alla perdita di un figlio”.
Ora “per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio. La carezza, il gesto e niente parole”.
Così Rachele, con il suo pianto, è ora principio di vita nuova per i figli esiliati, prigionieri, lontani dalla patria: “il Signore risponde con una promessa che adesso può essere per lei motivo di vera consolazione: il popolo potrà tornare dall’esilio e vivere nella fede, libero, il proprio rapporto con Dio. Le lacrime hanno generato speranza. E questo non è facile da capire, ma è vero. Tante volte, nella vita nostra, le lacrime seminano speranza, sono semi di speranza”. Il testo di Geremia, ripreso dall’evangelista Matteo, è applicato alla strage degli innocenti mettendoci di fronte alla tragedia dell’uccisione di esseri umani indifesi, all’orrore del potere che disprezza e sopprime la vita. “I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù”. E Lui, Agnello innocente, “è entrato nel dolore degli uomini”. Di fronte alla sofferenza, soprattutto dei bambini, il Papa ha invitato a guardare il Crocifisso: “soltanto guardando l’amore di Dio che dà Suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione .(…) Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini; ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto”.
Ha così ricordato i tanti i bambini ancora vittime di conflitti e violenze ed ha “dolore” per il massacro avvenuto nel carcere di Manaus in Brasilia, rinnovando “l’appello perché gli istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane.”
Celebrando l’Eucaristia nella solennità dell’Epifania il 6 gennaio Francesco ha colto l’immagine Magi mossi dalla “nostalgia di Dio” contrapposta a quella di Erode, chiuso nel culto di sé e della “vittoria a tutti i costi”.
I “magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella”, riprendendo S. Giovanni Crisostomo; essa infatti “non brillava in modo esclusivo né loro avevano un Dna speciale per scoprirla”, ma “videro la stella perché si erano messi in cammino”, cioè avevano il “cuore aperto all’orizzonte.” Essi “poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità. I magi, in tal modo, esprimono il ritratto dell’uomo credente, dell’uomo che ha nostalgia di Dio; di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste. Riflettono l’immagine di tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore”.E’ la “santa nostalgia di Dio” che “ci permette di tenere gli occhi aperti davanti ai tentativi di ridurre e di impoverire la vita”, è “la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura” ed ha animato diverse figure evangeliche come Simeone, Maria Maddalena …….
Contrapposto a questo atteggiamento di ricerca c’è quello di chi, come Erode, mentre i magi camminavano a poca distanza da Betlemme, dormiva “sotto l’anestesia di una coscienza cauterizzata, e rimase sconcertato, ebbe paura”. E’ l’atteggiamento di chi “davanti alla novità che rivoluziona la storia, si chiude in sé stesso, nei suoi risultati, nelle sue conoscenze, nei suoi successi. Lo sconcerto di chi sta seduto sulla ricchezza senza riuscire a vedere oltre. Uno sconcerto che nasce nel cuore di chi vuole controllare tutto e tutti. E’ lo sconcerto di chi è immerso nella cultura del vincere a tutti i costi; in quella cultura dove c’è spazio solo per i “vincitori” e a qualunque prezzo”. L’altra azione dei Magi che risalta nel Vangelo, è “adorare”. Essi giunsero dall’Oriente e scoprirono che ciò che “cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale”, scoprirono “un Dio che vuole essere amato solo nel segno della libertà e non della tirannia”.
All’ Angelus il Pontefice ha invitato ad imparare “dai Magi a non dedicare a Gesù solo i ritagli di tempo e qualche pensiero ogni tanto, altrimenti non avremo la sua luce. Come i Magi, mettiamoci in cammino, rivestiamoci di luce seguendo la stella di Gesù, e adoriamo il Signore con tutto noi stessi”. Come i Magi scelsero di farsi guidare dalla stella di Gesù, “anche nella nostra vita ci sono diverse stelle, luci che brillano e orientano. Sta a noi scegliere quali seguire”. I Magi ci invitano a seguire la luce vera che è il Signore, “una luce che non abbaglia, ma accompagna e dona una gioia unica. Segui oggi, tra le tante stelle cadenti del mondo, la stella luminosa di Gesù! Seguendola, avremo la gioia, come accadde ai Magi”. Di qui l’invito a “tutti a non avere paura di questa luce e ad aprirsi al Signore. Soprattutto vorrei dire a chi ha perso la forza di cercare, a chi, sovrastato dalle oscurità della vita, ha spento il desiderio: Coraggio, la luce di Gesù sa vincere le tenebre più oscure”. Infatti chi vuole questa luce “esce da sé e cerca: non rimane al chiuso, fermo a guardare cosa succede attorno, ma mette in gioco la propria vita. La vita cristiana è un cammino continuo, fatto di speranza e di ricerca.” Qui “ci sono anche delle insidie che vanno evitate: le chiacchiere superficiali e mondane, che frenano il passo; i capricci paralizzanti dell’egoismo; le buche del pessimismo, che intrappola la speranza”.
Domenica 8 gennaio, nella festa del Battesimo del Signore, ha battezzato nella Cappella sistina 28 bambini: Egli ha messo in rilievo il dono della fede che “è credere quello che è la Verità: Dio Padre che ha inviato suo Figlio e lo Spirito che ci vivifica. Ma anche la fede è affidarsi a Dio, e questo voi dovete insegnare loro, con il vostro esempio, con la vostra vita”. Infatti “la fede è luce (…) perché la fede illumina il cuore, fa vedere le cose con un’altra luce”.
All’Angelus il pensiero è andato ai senzatetto che stanno soffrendo a causa dell’ondata di freddo.
Soffermandosi sulla festa del Battesimo di Gesù, ha parlato dei cristiani che sono un “popolo di battezzati”, di “peccatori salvati dalla grazia di Cristo”. Ha così sottolineato come la missione di Gesù sia caratterizzata dallo stile del servo umile e mite, “munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia”. E’ questo è “lo stile di Gesù e anche lo stile missionario dei discepoli di Cristo: annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza gridare, senza sgridare qualcuno, ma con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione. La vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo”, a partire dalla “nostra testimonianza, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli”, portando “speranza e amore”. E’ dunque una festa che “ci fa riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati (…) inseriti realmente, per opera dello Spirito Santo, nella relazione filiale di Gesù con il Padre, accolti nel seno della madre Chiesa, resi capaci di una fraternità che non conosce confini e barriere”.
Gian Paolo Cassano
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