LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
Nell’ultima udienza del 2016, mercoledì 28 dicembre, Papa Francesco si è soffermato sulla figura di Abramo, “padre nella fede e nella speranza”, che seppe credere a Dio che gli prometteva un figlio.
La sua è una fede che “si apre a una speranza in apparenza irragionevole”, perché “è la capacità di andare al di là dei ragionamenti umani, della saggezza e della prudenza del mondo, al di là di ciò che è normalmente ritenuto buonsenso, per credere nell’impossibile”.
La speranza “apre nuovi orizzonti”, in quanto “rende capaci di sognare ciò che non è neppure immaginabile. La speranza fa entrare nel buio di un futuro incerto per camminare nella luce”.
E’ però “un cammino difficile”; anche Abramo prova lo sconforto, perché “si sente solo, è vecchio e stanco” e si lamenta con Dio di morire senza una discendenza, “quasi non avesse tenuto fede alla sua parola”. Ma anche “questo suo lamentarsi è una forma di fede, è una preghiera!”. Nonostante tutto Abramo continua a credere in Dio e “a sperare che qualcosa potrebbe accadere”, altrimenti non avrebbe senso “lagnarsi con Lui, richiamarlo alle sue promesse”.
Infatti “la fede non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare, la speranza non è certezza che ti mette al sicuro dal dubbio e dalla perplessità. Ma tante volte, la speranza è buio; ma è lì, la speranza … che ti porta avanti”. La fede “è anche lottare con Dio”: significa “mostrargli la nostra amarezza, senza ‘pie’ finzioni. ‘Mi sono arrabbiato con Dio e gli detto questo, questo, questo …’. Ma Lui è Padre, Lui ti ha capito: vai in pace !”. Bisogna “avere questo coraggio”, perché la “speranza è anche non avere paura di vedere la realtà per quello che è e accettarne le contraddizioni”. Un cammino “che ognuno di noi deve percorrere”, perché “la speranza non delude”.
Al Te Deum del 31 dicembre ha esortato a superare le logiche che portano ad escludere il prossimo. Francesco ha ricordato che, in Cristo, Dio “non si è mascherato da uomo” ma ha davvero condiviso “in tutto la nostra condizione”, facendo “nostra la logica divina” che rifiuta il privilegio, le concessioni e i favoritismi. “Oggi, davanti al bambino Gesù, vogliamo ammettere di avere bisogno che il Signore ci illumini, perché non sono poche le volte in cui sembriamo miopi o rimaniamo prigionieri di un atteggiamento marcatamente integrazionista di chi vuole per forza far entrare gli altri nei propri schemi”. Infatti “guardare il presepe significa trovare la forza di prendere il nostro posto nella storia senza lamentarci e amareggiarci, senza chiuderci o evadere, senza cercare scorciatoie che ci privilegino.”
Francesco ha, quindi, rivolto il pensiero ai giovani, osservando che “non si può parlare di futuro” senza “assumere la responsabilità” che abbiamo verso le nuove generazioni, o meglio un “debito” con essi che ci spinge a “pensare a come ci stiamo interessando al posto” che “hanno nella nostra società”. E’ il guaio di “una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente” condanna “i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani. Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società”. Per questo “guardare il presepe ci sfida ad aiutare i nostri giovani perché non si lascino disilludere davanti alle nostre immaturità, e stimolarli affinché siano capaci di sognare e di lottare per i loro sogni”.
Gian Paolo Cassano
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