LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
Essere “strumenti della misericordia di Dio” anche verso chi ha sbagliato, come i carcerati, e a chi è solo, come i malati. E’ l’invito del Papa all’Udienza generale di mercoledì 9 novembre, dedicata ancora alle opere di misericordia. Una misericordia che si declina in opere come assistere gli ammalati e far visita a chi si trova in prigione. Francesco ha chiesto quindi di non giudicare chi ha sbagliato ma di farsi prossimi: “visitare le persone in carcere è un’opera di misericordia che soprattutto oggi assume un valore particolare per le diverse forme di giustizialismo a cui siamo sottoposti. Nessuno dunque punti il dito contro qualcuno. Tutti invece rendiamoci strumenti di misericordia, con atteggiamenti di condivisione e di rispetto”. Certamente se uno è in carcere è perché ha sbagliato e “sta scontando la sua pena”, ma “rimane pur sempre amato da Dio”. Le sue parole esprimono grande tenerezza: “chi può entrare nell’intimo della sua coscienza per capire che cosa prova? Chi può comprenderne il dolore e il rimorso?” Un cristiano allora è chiamato a farsi carico di chi ha sbagliato perché comprenda il male che ha compiuto, facendo di tutto per restituirgli la dignità.
E poi gli ammalati. Per una persona malata una visita è “un’ottima medicina”, è “un sorriso, una carezza, una stretta di mano sono gesti semplici, ma tanto importanti per chi si sente abbandonato a se stesso.” Visitare gli ammalati in ospedale è dunque un’opera di volontariato impagabile e se fatto nel nome del Signore è anche “espressione eloquente ed efficace di misericordia”. Di qui l’invito: “non lasciamo sole le persone malate! Non impediamo loro di trovare sollievo, e a noi di essere arricchiti per la vicinanza a chi soffre. Gli ospedali sono vere ‘cattedrali del dolore’, dove però si rende evidente anche la forza della carità che sostiene e prova compassione”.
Anche Gesù ha fatto esperienza della prigione, catturato, trascinato come un malfattore, incoronato di spine, “Lui, il solo Innocente!” Queste opere di misericordia sono “antiche, eppure sempre attuali. La misericordia infatti è un atto concreto: “tutti noi possiamo essere strumenti della misericordia di Dio e questo farà più bene a noi che agli altri perché la misericordia passa attraverso un gesto, una parola, una visita e questa misericordia è un atto per restituire gioia e dignità a chi l’ha perduta”.
Sabato 12 novembre, nell’ultima udienza speciale giubilare, ha parlato di misericordia e inclusione. Ora Dio “nel suo disegno d’amore, non vuole escludere nessuno, ma vuole includere tutti”. Così “noi cristiani siamo invitati a usare lo stesso criterio: la misericordia è quel modo di agire, quello stile, con cui cerchiamo di includere nella nostra vita gli altri, evitando di chiuderci in noi stessi e nelle nostre sicurezze egoistiche”. L’inclusione si manifesta nello spalancare le braccia per accogliere senza escludere, “senza classificare gli altri in base alla condizione sociale, alla lingua, alla razza, alla cultura, alla religione: davanti a noi c’è soltanto una persona da amare come la ama Dio. Quello che trovo, nel mio lavoro, nel mio quartiere, è una persona da amare, come ama Dio. “Ma questo è di quel Paese, dell’altro Paese, di questa religione, di un’altra… È una persona che ama Dio e io devo amarla”. Questo è includere, e questa è l’inclusione”. Il Vangelo ci chiama a riconoscere nella storia dell’umanità il disegno di una grande opera di inclusione, che ci chiama a formare una famiglia di fratelli e sorelle e a far parte della Chiesa, che è il corpo di Cristo. Tutti abbiamo bisogno di essere perdonati e nessuno è escluso dalla sua misericordia. Per questo occorre lasciarsi coinvolgere in questo movimento di inclusione degli altri per essere testimoni della misericordia di Dio verso ciascuno di noi.
Domenica 13 novembre, in occasione del Giubileo dedicato alle persone socialmente escluse, ha ricordato che “la persona umana, posta da Dio al culmine del creato, viene spesso scartata, perché si preferiscono le cose che passano. E questo è inaccettabile, perché l’uomo è il bene più prezioso agli occhi di Dio. Ed è grave che ci si abitui a questo scarto; bisogna preoccuparsi, quando la coscienza si anestetizza e non fa più caso al fratello che ci soffre accanto o ai problemi seri del mondo, che diventano solo ritornelli già sentiti nelle scalette dei telegiornali”. Sono gli emarginati che aiutano a sintonizzarsi “sulla lunghezza d’onda di Dio” e a “guardare quello che guarda lui”, che non si ferma all’apparenza, ma rivolge lo sguardo “sui tanti poveri Lazzaro di oggi”, quindi non accorgerci di Lazzaro è voltare la faccia a Dio ! Francesco quindi ha parlato della “tragica contraddizione” di oggi: tanto più aumentano progresso e possibilità, che restano un bene, tanto più aumenta chi non può accedervi. Tutto questo è “una grave ingiustizia”, perché “non si può stare tranquilli in casa mentre Lazzaro giace alla porta; non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti”. Si guardi quindi con fiducia al Dio della misericordia e si aprano gli occhi al prossimo “soprattutto al fratello dimenticato ed escluso, ai Lazzaro che giacciono alla nostra porta”, perché è nostro compito, per “diritto” e per “dovere evangelico” il “prenderci cura della vera ricchezza che sono i poveri”.
All’Angelus ha fatto riferimento al fatto che le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre sicurezza né in esse né nei “falsi messia” che speculano sui bisogni delle persone: l’unica certezza è che la nostra vita è nelle “mani” del Signore, perché Dio “non ci abbandona mai”. Infatti “la storia della Chiesa è ricca di esempi di persone che hanno sostenuto tribolazioni e sofferenze terribili con serenità, perché avevano la consapevolezza di essere saldamente nelle mani di Dio. Egli è un Padre fedele, è un Padre premuroso, che non abbandona i suoi figli. Dio non ci abbandona mai! E questa certezza dobbiamo averla nel cuore: Dio non ci abbandona mai”. Il compito della comunità cristiana “per andare incontro al ‘giorno del Signore’”, affidandosi alla Vergine Maria perché ci aiuti a capire “in profondità” la verità che è quella di “rimanere saldi nel Signore, in questa certezza che Egli non ci abbandona mai, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta”. D’altra parte Dio “conduce la nostra storia e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi”, perché è sotto lo sguardo misericordioso del Signore che “si dipana la storia nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male” e tutto quello che succede è conservato in Lui.
Gian Paolo Cassano
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