LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
La potenza del perdono di Cristo, che ha riscattato le nostre miserie sulla Croce, “non si esaurisce mai”. Lo ha affermato il Papa all’udienza generale di mercoledì 6 aprile, inaugurando un nuovo ciclo giubilare di catechesi dedicate alla misericordia nel Vangelo. Francesco l’ha rintracciata nelle cinque grandi azioni compiute da Gesù: “incontrando le folle, annunciando il Vangelo, guarendo gli ammalati, avvicinandosi agli ultimi, perdonando i peccatori” e puntando l’attenzione in particolare sul modo in cui Gesù inizia la sua missione, facendosi battezzare da Giovanni nel Giordano. Infatti “non si è presentato al mondo nello splendore del tempio. (…) Non si è fatto annunciare da squilli di trombe: poteva farlo. E neppure è venuto nelle vesti di un giudice: poteva farlo. Invece, dopo trent’anni di vita nascosta a Nazaret, Gesù si è recato al fiume Giordano, insieme a tanta gente del suo popolo, e si è messo in fila con i peccatori. Non ha avuto vergogna: era lì con tutti, con i peccatori, per farsi battezzare”.
Fin da subito, Cristo “si è manifestato come Messia che si fa carico della condizione umana, mosso dalla solidarietà e dalla compassione”. Tutto ciò che ha compiuto “dopo il battesimo è stato la realizzazione del programma iniziale: portare a tutti l’amore di Dio che salva”, “puro, gratuito, assoluto”, perché “Gesù non ha portato l’odio, non ha portato l’inimicizia: ci ha portato l’amore! Un amore grande, un cuore aperto per tutti, per tutti noi! Un amore che salva! Lui si è fatto prossimo agli ultimi, comunicando loro la misericordia di Dio che è perdono, gioia e vita nuova. Il Figlio inviato dal Padre, Gesù, è realmente l’inizio del tempo della misericordia per tutta l’umanità!”.
La misericordia raggiunge il culmine al Golgota: “è sulla croce che Gesù presenta alla misericordia del Padre il peccato del mondo: il peccato di tutti! I miei peccati, i tuoi peccati, i vostri peccati. È lì, sulla croce, che Lui li presenta. E con esso tutti i nostri peccati vengono cancellati. Nulla e nessuno rimane escluso da questa preghiera sacrificale di Gesù”. Una sola cosa basta, pentirsi e affidarsi a Dio con fiducia totale, attraverso il Sacramento della Riconciliazione. Evitando la tentazione di credersi autosufficienti rispetto all’offerta del perdono di Dio: “tutti abbiamo la possibilità di ricevere questo perdono che è la misericordia di Dio (…) Non dobbiamo temere le nostre miserie. Ognuno di noi ha le proprie. La potenza d’amore del Crocifisso non conosce ostacoli e non si esaurisce mai. E questa misericordia cancella le nostre miserie”.
Nell’udienza giubilare di sabato 9 aprile ha parlato dell’elemosina, come di un aspetto concreto della vita di fede, che si fa guardando l’altro negli occhi, con rispetto e sincerità. Francesco è stato molto concreto, proponendo un prontuario del cuore prima ancora che l’indicazione pratica di “come si debba compiere gesto di carità senza svuotarlo” del suo “grande contenuto”. Assieme al “sacrificio”, l’elemosina è un dovere “antico quanto la Bibbia” dove “Dio esige un’attenzione particolare per i poveri che, di volta in volta, sono i nullatenenti, gli stranieri, gli orfani e le vedove. E nella Bibbia questo è un ritornello continuo.” E donando occorre farlo con “atteggiamento di gioia interiore”, perché “offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta. E quanta gente giustifica sé stessa perché non dà l’elemosina dicendo: ‘ma, come sarà questo? Questo a cui io darò, andrà a comprare vino per ubriacarsi!’. Ma se lui si ubriaca è perché non ha un’altra strada! E tu, cosa fai di nascosto, che nessuno vede? E tu sei giudice di quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino?”.
Di qui l’invito rivolto ad ognuno di noi a “domandarsi: ‘Io sono capace di fermarmi e guardare in faccia, guardare negli occhi, la persona che mi sta chiedendo aiuto? Sono capace?’. Non dobbiamo identificare, quindi, l’elemosina con la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno. Allo stesso tempo, dobbiamo distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon servizio ai veri poveri”.
Non bisogna dimenticare che “l’elemosina è un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto”.
Domenica 10 aprile, al Regina Coeli, il Papa ha lanciato un appello per il rilascio nello Yemen di padre Tom Uzhunnalil e di tutte le persone rapite in zone di guerra.
Ispirandosi al Vangelo domenicale ha poi sottolineato: “la presenza di Gesù risorto trasforma ogni cosa: il buio è vinto dalla luce, il lavoro inutile diventa nuovamente fruttuoso e promettente, il senso di stanchezza e di abbandono lascia il posto a un nuovo slancio e alla certezza che Lui è con noi”. E “se a uno sguardo superficiale può sembrare a volte che le tenebre del male e la fatica del vivere quotidiano abbiano il sopravvento”, la Chiesa “sa con certezza che su quanti seguono il Signore Gesù risplende ormai intramontabile la luce della Pasqua” che “infonde nei cuori dei credenti un’intima gioia e una speranza invincibile.” Ora “tutti noi cristiani siamo chiamati a comunicare questo messaggio di risurrezione a quanti incontriamo (…) specialmente a chi soffre, a chi è solo, a chi si trova in condizioni precarie, agli ammalati, ai rifugiati, agli emarginati. A tutti facciamo arrivare un raggio della luce di Cristo risorto, un segno della sua misericordiosa potenza”.
Gian Paolo Cassano
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