La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

E’ uno scandalo la convivenza tra ricchezza e miseria, in Africa e non solo; lo ha ribadito il Papa, ripercorrendo il suo viaggio africano mercoledì 2 dicembre, all’udienza generale. Il Pontefice si è soffermato in particolare su missionari e giovani: “tutta una vita per la vita degli altri (come l’anziana suora italiana, di 81 anni incontrata in Centrafrica). E come questa suora, ce ne sono tante, tante: tante suore, tanti preti, tanti religiosi che bruciano la vita per annunciare Gesù Cristo. E’ bello, vedere questo. E’ bello”. Occorre prendere esempio da questa suora e da “tante come lei, che hanno dato la vita” per la missione, a volte anche perdendola: “la missionarietà non è fare proselitismo (…), ma la testimonianza: questa è la grande missionarietà eroica della Chiesa”.
Quindi una riflessione sui giovani: “ce ne sono pochi, perché la natalità è un lusso, sembra, in Europa: natalità zero, natalità 1% … Ma mi rivolgo ai giovani: pensate cosa fate della vostra vita”. Rivolgendosi a loro ha aggiunto: “è il momento di pensare e chiedere al Signore che ti faccia sentire la sua volontà. Ma non escludere, per favore, questa possibilità di diventare missionario, per portare l’amore, l’umanità, la fede in altri Paesi.”
Il Centrafrica è un “Paese che soffre tanto”, che sta cercando di “uscire da un periodo molto difficile, di conflitti violenti e tanta sofferenza nella popolazione”, per questo Francesco ha voluto aprire proprio là, a Bangui, la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia, come segno “di fede e di speranza per quel popolo e simbolicamente per tutte le popolazioni africane le più bisognose di riscatto e di conforto”. Ora “lasciare alle spalle la guerra, le divisioni, la miseria, e scegliere la pace, la riconciliazione, lo sviluppo. Ma questo presuppone un ‘passaggio’ che avviene nelle coscienze, negli atteggiamenti e nelle intenzioni delle persone”.
Il pensiero di Francesco va pure al Kenia, simbolo della “sfida globale della nostra epoca”, riscontrabile in particolare a Nairobi, quella di “tutelare il creato” riformando il modello di sviluppo “perché sia equo, inclusivo e sostenibile”. Per questo, spiega, ha incoraggiato a fare tesoro della sua “ricchezza naturale e spirituale”, costituita “dalle risorse della terra, dalle nuove generazioni e dai valori che formano la saggezza del popolo”, portando “la parola di speranza di Gesù”, che invita ad essere “saldi nella fede”, senza avere “paura”.
Quindi la visita in Uganda, a 50 anni dalla canonizzazione dei Martiri di quel Paese, svoltasi nel “fervore della testimonianza animata dallo Spirito Santo”, come nel caso dei catechisti e delle loro famiglie; come per gli esempi di carità, che il Papa racconta di aver “toccato con mano” nella Casa di Nalukolongo; come per i giovani che, “malgrado le difficoltà”, cercano di vivere secondo il Vangelo e non “secondo il mondo, andando contro-corrente”; come i sacerdoti, i consacrati e le consacrate “che rinnovano giorno per giorno il loro ‘sì’ totale a Cristo e al popolo di Dio”.
Domenica 6 dicembre, all’Angelus, ha ricordato che la conversione non riguarda solo gli atei ma anche quanti si ritengono già cristiani. Nessuno può dire: sono a posto. Sarebbe presunzione, perché “sempre dobbiamo convertirci”. Quindi, invita a farsi alcune domande:  “è vero che sentiamo come sente Gesù? Per esempio, quando subiamo qualche torto o qualche affronto, riusciamo a reagire senza animosità e a perdonare di cuore chi ci chiede scusa? Quanto difficile è perdonare, eh? Quanto difficile! ‘Me la pagherai!’: quella parola viene da dentro, eh? Quando siamo chiamati a condividere gioie o dolori, sappiamo sinceramente piangere con chi piange e gioire con chi gioisce? Quando dobbiamo esprimere la nostra fede, sappiamo farlo con coraggio e semplicità, senza vergognarci del Vangelo?”. La voce del Battista “grida ancora negli odierni deserti dell’umanità, che sono le menti chiuse e i cuori duri, e ci provoca a domandarci se effettivamente stiamo percorrendo la strada giusta, vivendo una vita secondo il Vangelo”. È un “invito pressante ad aprire il cuore e accogliere la salvezza che Dio ci offre incessantemente, quasi con testardaggine, perché ci vuole tutti liberi dalla schiavitù del peccato”. Per questo occorre “far conoscere Gesù a quanti ancora non lo conoscono”. Ora “questo non è fare proselitismo”, ma “è aprire una porta”, perché “se a noi il Signore Gesù ha cambiato la vita” non possiamo non sentire “la passione di farlo conoscere a quanti incontriamo” ! “Se ci guardiamo intorno, troviamo persone che sarebbero disponibili a cominciare o a ricominciare un cammino di fede, se incontrassero dei cristiani innamorati di Gesù. Non dovremmo e non potremmo essere noi quei cristiani? Ma, io vi lascio la domanda: ‘Ma io davvero sono innamorato di Gesù? Sono convinto che Gesù mi offre e mi dà la salvezza? E se sono innamorato, devo farlo conoscere!’. Ma dobbiamo essere coraggiosi: abbassare le montagne dell’orgoglio e della rivalità, riempire i burroni scavati dall’indifferenza e dall’apatia, raddrizzare i sentieri delle nostre pigrizie e dei nostri compromessi”. 
L’immagine dei due papi (papa Francesco e l’emerito papa Benedetto) che passano la porta santa (è un primum storico) va a suggellare l’inizio dell’anno santo straordinario della misericordia che è stato ufficialmente inaugurato l’8 dicembre, nel giorno dell’Immacolata a 50 anni della chiusura del Concilio Vaticano II. In realtà il privilegio della prima apertura lo aveva già riservato al cuore dell’Africa, al legno di una Porta meno maestosa ma per il Papa delle periferie non meno sacra; e che dire delle migliaia di Porte Sante che si apriranno domenica 13 dicembre in tutte le Cattedrali del mondo ?
“Sarà un Anno – ha detto il Pontefice – in cui crescere nella convinzione della misericordia. Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia! Sì, è proprio così. Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta Santa, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore, di tenerezza”. Il Papa ha pensato a Maria Immacolata, nel giorno della solennità che la celebra, perché proprio in Lei si vede come la “storia di peccato nel giardino dell’Eden” si risolva “nel progetto di un amore che salva”. E che dire del Concilio che ha donato alla Chiesa una monumentale “ricchezza” di fede: “il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro”. L’anno santo sarà un anno di grazia, acceso dal propulsore della “stessa forza”, dello “stesso entusiasmo”, della “spinta missionaria” che scaturì mezzo secolo fa dal cuore dei padri conciliari: “il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano”.
All’Angelus ha auspicato che la festa dell’Immacolata diventi festa di tutti noi che sappiamo accogliere Dio ed essere artefici di misericordia. “Maria è la prima salvata dall’infinita misericordia del Padre”. Questo significa Immacolata Concezione, “primizia della salvezza che Dio vuole donare ad ogni uomo e donna, in Cristo”. Maria è “icona sublime della misericordia divina che ha vinto sul peccato” e noi “vogliamo guardare a questa icona con amore fiducioso e contemplarla in tutto il suo splendore, imitandone la fede”. Così diventa “la festa di tutti noi se, con i nostri  sì quotidiani, riusciamo a vincere il nostro egoismo e a rendere più lieta la vita dei nostri fratelli, a donare loro speranza, asciugando qualche lacrima e donando un po’ di gioia”. Essa “ci ricorda che nella nostra vita tutto è dono, tutto è misericordia”, che è questa è “la parola sintesi del Vangelo” ed “il tratto fondamentale del volto di Cristo” che occorre riconoscere “nei diversi aspetti della sua esistenza: quando va incontro a tutti, quando guarisce gli ammalati, quando siede a tavola con i peccatori, e soprattutto quando, inchiodato sulla croce, perdona; lì noi vediamo il volto della misericordia divina”. Dunque, “non abbiamo paura”, ma “lasciamoci abbracciare dalla misericordia di Dio che ci aspetta e perdona tutto. Nulla è più dolce della sua misericordia. Lasciamoci accarezzare da Dio: è tanto buono, il Signore, e perdona tutto”.
Gian Paolo Cassano

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